lunedì 26 maggio 2014

Natura: cuore pulsante del mondo

Di
Giuseppe Nastasi



"Natura! Non invitati e non avvertiti, essa ci prende nel giro della sua danza e ci attrae nel vortice, finché, stanchi, cadiamo nelle sue braccia. E' intera e, nondimeno, sempre incompiuta. Non conosce passato e futuro; il presente è la sua eternità".




Così un intellettuale del calibro di Wolfgang Goethe intende la natura: come una forma di vita che, nella sua straordinaria potenza, crea eternamente incarnando la forza stessa del Divino. Il pensatore tedesco, contrapponendosi alla razionalizzazione della cultura e del vivere umano, sente insita nella bellezza del creato la presenza di uno Spirito e di una Forza sovrasensibili, che introducono la loro infinità nella finitudine umana.


Durante la sua esistenza, infatti, l'uomo ha sempre trovato nella natura la soddisfazione di ogni suo bisogno, sia fisico che spirituale. Dunque è facendo esperienza del creato che l'individuo percepisce il suo "alter ego", qualcosa che lo completa e lo rende consapevole della sua identità e della sua piccolezza in rapporto all'Universo.



Se osserviamo il rapporto tra uomo e natura nel corso del tempo, notiamo diversi modi di approcciarsi. Prendendo in analisi l'epoca medievale, in cui persiste la centralità di Dio nella vita dell'uomo, la natura diventa immagine vivente del Creatore, che, spinto dall'amore per le sue creature, la mette al servizio dell'umanità manifestando la potenza del suo eterno disegno. Questa tendenza emerge grandemente da Il cantico di Frate Sole di san Francesco d'Assisi. Nella sua lode, manifesto dell'etica francescana, il frate, piccolo nel mondo ma grande nell'umiltà, elogia il creato nella sua totalità, sia per le gioie che per i dolori che da esso provengono. Il sole, la luna e le stelle, da una parte, il vento, il fuoco e l'acqua, dall'altra, sono il mezzo attraverso il quale l'Altissimo rende viva la sua presenza nel mondo e dà "sustentamento a le sue creature" (cfr. verso 14). 




La natura, vista l'incessante presenza di Dio, sembra assumere dunque un significato allegorico, che si rispecchia a pieno anche nelle tematiche affrontate dal più grande poeta italiano: Dante Alighieri. Durante il suo viaggio nei tre Regni dell'Oltretomba, il sommo poeta si imbatte in paesaggi nuovi e in imponenti visioni celestiali, che sfuggono a qualsiasi spiegazione scientifica. Infatti, nel I canto del Purgatorio, Dante, pur non essendo a conoscenza delle nuove scoperte astronomiche, descrive, nella maniera più chiara possibile, un cielo primaverile insieme alle sue costellazioni, infondendo in ogni elemento descritto un profondo significato simbolico. Tuttavia, la bellezza della natura è tale da poter essere accolta soltanto da uno spirito nobile e puro. Per questo motivo il cielo australe, allietato dalle luci di Venere, della costellazione dei Pesci e della Croce del Sud, si sottrae alla vista dell'emisfero boreale ("settentrional vedovo sito", cfr. Purgatorio I, verso 26), che per la sua colpa, non riesce a vedere queste meraviglie ("poi che privato se' di mirar quelle", cfr. Purgatorio I, verso 27).







Se,tuttavia, nella sfera religiosa la natura rappresenta l'amore ineffabile di Dio, in una rilettura più laica e umana diventa il riflesso dei sentimenti individuali. Questa tendenza è riscontrabile nella lirica provenzale e nella letteratura del Basso Medioevo. In questo tempo, infatti, nasce l'ideologia dell'amor cortese, che consiste nel provare un amore di tipo platonico -  e quindi ben lontano da quello passionale - nei confronti di una dama di corte, la quale, essendo già sposata, non ricambia l'attenzione dei poeti. Dal momento che la donna amata è estranea all'amore che le viene rivolto con tanta devozione, il poeta cerca conforto nel mondo che lo circonda, così da riuscire a trovarlo nel contemplare il paesaggio naturale. Tutti questi elementi sono magistralmente sintetizzati nelle liriche in lingua d'oc del trovatore provenzale Bernart de Ventadorn.
Nella poesia Quando erba nuova e nuova foglia nasce, il paesaggio, che si prepara ad accogliere l'arrivo della stagione primaverile, produce nell'animo del poeta una gioia tale da accrescere il suo sentimento e la sua devozione per la sua "madonna". Alla luce dei canoni dell'amor cortese, questo sentimento è già abbastanza per il poeta tanto che non osa chiedere nulla di più, poiché "madonna", nonostante conosco il dissidio del povero amante, non merita alcun rimprovero per il suo totale disinteresse ("perché a lei non ne venga biasimo", cfr. " Quando erba nuova...", verso 16).



Dunque l'arrivo della primavera, grazie al quale i prati si colorano di fiori e il cielo si rasserena, si unisce al risveglio dei sentimenti d'amore di tutte le creature, come viene ulteriormente sottolineato dal grande poeta Francesco Petrarca nella lirica CCCX del Canzoniere Zephiro torna, e 'l bel tempo rimena. La splendida descrizione paesaggistica, tanto vicina a quella di Ventadorn, non richiama più la gioia di amare la propria donna, ma si contrappone al forte dissidio interiore del poeta. Da questi versi, infatti, emerge che Laura è già morta e, insieme alla sua solare bellezza e alla sua giovinezza, sono scomparse anche le chiavi del cuore di Petrarca, che non riesce ad accogliere il risveglio primaverile. L'indifferenza del poeta nei confronti del paesaggio naturale lo allontana dal raggiungimento della catarsi e la natura, che in questo caso è contrapposta alle pene d'amore, non sembra dare alcun conforto, pur rimanendo ugualmente un elemento essenziale nella poetica di Petrarca. Non a caso, prendendo in esame altre liriche scritte in seguito alla morte dell'amata, come "Chiare, fresche et dolci acque" o "Già fiammeggiava l'amorosa stella", si evince che la natura con la sua "quieta armonia" permette al poeta di sentire la presenza viva di Laura e di raggiungere, attraverso l'ascesi spirituale, la completa purificazione dal male dell'accidia.




Mentre Francesco Petrarca e Bernart de Ventadorn riescono a soddisfare le loro mancanze spirituali contemplando la natura Giacomo Leopardi, considerato uno dei massimi esponenti del Romanticismo, non considera il creato come rifugio e come conforto, ma come una trappola. Celebri sono i versi dell'idillio 1820 La Sera del dì di festa, nei quali la natura personificata si presenta come una "matrigna" che crea l'uomo solo per farlo soffrire e per privarlo della speranza, cosa che non permetterà ai suoi occhi di brillare si gioia, ma di pianto. Tuttavia, il poeta non ha tenuto conto che, attraverso il suo sguardo disincantato e il suo difficile rapporto con il contingente, non riesce a farci odiare la natura, ma piuttosto ce la fa amare. Infatti, al dolore corrisponde sempre il desiderio d'amare, alla rottura con la natura corrisponde l'anelito di infinito, che parte da ciò che ci circonda, e ad ogni notte corrisponde sempre un giorno di luce.


La natura, dunque, nonostante le afflizioni e i problemi della vita, continua ad essere conforto e sostentamento per l'umanità. Inoltre, pur non comprendendo le cause che la determinano, si ha la certezza che tutto avviene per un desiderio e che tutto termina nella pace e l'uomo, assistendo impassibile alla magnificenza del creato, raggiunge la piena consapevolezza del suo essere: un piccolo attimo nell'eterno divenire della natura.


Il tempo: una realtà indefinibile?

Di
Elisa Miceli

Cos'è il tempo? E' questa la domanda che, sin dall'antichità, ha tormentato le grandiose menti di letterati e filosofi. Ancora oggi, l'uomo non riesce a darsi una risposta.



La ricerca di una soluzione al quesito risale già all'epoca augustea. Il poeta Orazio, ad esempio, cerca di dare una spiegazione con il "carpe diem", che non deve essere inteso come un banale invito al godimento, ma come una sollecitazione a cogliere l'attimo, distogliendo lo sguardo da ciò che verrà. 

Il futuro, infatti, è incontrollabile ed imprevedibile: è quindi sconsigliabile riporre eccessiva fiducia in qualcosa di così fugace. La spensieratezza e la serena accettazione del presente sono gli unici rimedi alla brevità del tempo che, secondo Seneca, viene continuamente sprecato dall'uomo. L'umanità non ha la consapevolezza che il tempo è un bene non rinnovabile, sempre sottratto dagli eventi della vita. Non bisogna né temere, né desiderare il futuro, ma vivere il presente, su cui incombe una morte imminente, in modo attento e saggio.



La consapevolezza dell'inesorabilità del divenire ha portato la complessa personalità di Agostino a dubitare sull'esistenza e sulla natura del tempo. Il filosofo, dopo essersi a lungo interrogato, è giunto a negarne l'essere; i limiti del tempo non riguardano Dio, fautore di ogni cosa esistente in natura. Da ciò si evince che se la divinità non è soggetta al mutamento, lo stesso non si può dire dell'uomo che non può comprendere, in quanto essere finito, cosa esso in realtà sia: il passato, infatti, non è più, il futuro deve ancora essere ed il presente, se non si traducesse in passato, costituirebbe un'eternità.



La questione della percezione del tempo, così, ha attraversato i secoli, continuando a persistere anche nel '900, un'epoca talmente densa di eventi da proporci numerose riflessioni. Il secolo breve per eccellenza, così come viene definito dalla storiografia, ci ripropone le interpretazioni di autori quali Marcel Proust e d Italo Svevo, che hanno elaborato diverse concezioni del divenire. Se da un lato, come si evince dalla lettura di Proust, si tenta un recupero casuale del tempo tramite tramite la memoria, dall'altro, come sostiene Svevo, si afferma la credenza che la salvezza sta proprio nella distruzione del passato. L'uomo diventa ciò che è grazie alle esperienze che vive, in quanto non esiste felicità, né dolore, senza un ricordo che lo causa. La memoria, però, può anche logorare l'animo; l'unica salvezza, in questo caso, è l'annichilamento di quest'ultima, trasformando il tempo in una realtà imperitura.



Le risposte acquisite nel corso dei secoli sono molto controverse: riusciremo mai a dare una definizione di tempo? Esso, così come sostengono gli intellettuali antichi e moderni, è una realtà indefinibile, un continuo divenire inarrestabile, che logora l'uomo e la sua giovinezza.

Il romanzo, un genere che riflette l'epoca in cui è scritto

Di
Isabella Giorgianni


Secondo la definizione più consueta, il romanzo è un genere letterario che corrisponde  ad una narrazione in prosa estesa, di carattere realistico o fantastico, che sviluppa vicende piuttosto complesse. Ma cosa ha realmente rappresentato questa forma nella storia dell'uomo? In ogni epoca una specifica tipologia di romanzo è nata per adempire ad un proprio compito, come esprimere una precisa rappresentazione della realtà, oggettiva o soggettiva, rappresentare riflessioni di carattere filosofico o ideologico, sia sulla vita del singolo che sulla storia ed i valori fondamentali del tempo, fissare determinati concetti o fornire un quadro preciso in grado di restituire un vero e proprio documento d'indagine. 
Il termine "romanzo" è di origine medievale e deriva dalla parola "roman", con cui si indicava la lingua volgare. Il periodo più fortunato per il romanzo è soprattutto l'800, secolo in cui l'uomo ritiene di poter conoscere la realtà che lo circonda: in questo contesto il romanzo che riscuote più successo è il romanzo storico. In esso l'autore si propone di offrire il quadro di una determinata epoca del passato, illustrandola sia nei grandi avvenimenti politici e militari che nei loro effetti nel campo della vita privata, ponendo al centro della narrazione personaggi non realmente vissuti. Il grande successo di questo genere è spiegabile attraverso l'interesse per il passato tipico della tendenza romantica, considerando che si ricercavano nella storia le radici e l'identità dei popoli e delle nazioni.
Il vero iniziatore di questa tipologia romanzesca è Walter Scott, scrittore, poeta e romanziere britannico. Nel 1814 Scott pubblicò Waverly, universalmente considerato come il primo romanzo storico, opera uscita in forma anonima per timore che al pubblico potesse risultare sgradita, sebbene in realtà essa ottenne notevole successo fin dalla sua prima apparizione. Uno dei romanzi più famosi dell'autore è però Ivanhoe, pubblicato nel 1820 e ambientato nell'Inghilterra del medioevo, che trasfigura il conflitto anglo-scozzese nel conflitto normanno-sassone all'epoca di Riccardo Cuor di Leone. 
Fu proprio Scott ad ispirare Alessandro Manzoni, scrittore, poeta e drammaturgo italiano che nel 1827 pubblicò il primo romanzo storico italiano, il celeberrimo I promessi sposi. L'opera è ambientata nel Seicento, quando il ducato milanese era sotto il dominio della Spagna, ma i veri padroni erano i potenti che si occupavano solo dei propri interessi senza curarsi del rispetto della giustizia, mentre gli umili vivevano nel timore e nella miseria.
In questo periodo ha un certo rilievo anche il romanzo realista, che, al contrario di quello storico, rappresenta vicende e costumi contemporanei ed è caratterizzato dall'analisi della realtà sociale anche dal punto di vista critico. Come applicazione diretta del pensiero realista, il romanzo realista nasce in Francia, quando, alla fine dell'800, il Naturalismo si propone di descrivere la realtà con gli stessi metodi usati nelle scienze naturali. Esso riflette l'influenza della diffusione del pensiero scientifico, che basa la conoscenza sull'osservazione, sulla sperimentazione e sulla verifica. Lo scrittore deve realizzare la realtà nel modo più oggettivo ed impersonale possibile, lasciando ai fatti narrati e descritti il compito di denunciare lo stato della situazione sociale, evidenziando il degrado e le ingiustizie. Gli scrittori naturalisti abbandonano la scelta del narratore onnisciente, che sa tutto dei personaggi e che racconta la storia in terza persona, sostituendola con una voce narrante che assiste ai fenomeni descritti, così come accadono.
Esponente importante del Naturalismo fu Émile Zola, giornalista, scrittore e saggista francese che, in seguito alla lettura dei testi scientifici di Charles Darwin sulla selezione naturale e l'ereditarietà, formulò le regole del cosiddetto romanzo sperimentale, che doveva riprodurre su carta ciò che sarebbe avvenuto in un laboratorio scientifico per lo studio dell'umanità, secondo un approccio rappresentato nel suo primo grande ciclo di romanzi sulla famiglia Rougon-Macquart.
In Italia, invece, il Naturalismo assunse la declinazione verista impersonata da Giovanni Verga, scrittore e drammaturgo siciliano che, nel 1880 e nel 1883, si fece conoscere con le raccolte "Vita dei campi" e "Novelle Rusticane". Ma al centro del suo progetto vi erano soprattutto i cinque romanzi del cosiddetto "Ciclo dei Vinti", del quale scrisse però solo i primi due: I Malavoglia e Maestro don Gesualdo. Dalla Lettera a Salvatore Farina scritta da Verga nel 1820 possiamo osservare una frase in cui egli parla del romanzo, esplicando che cosa intendesse con l'atto della scrittura: "Intanto io credo che il trionfo del romanzo, la più completa e la più umana delle opere d'arte, si raggiungerà allorché l'affinità e la coesione di ogni sua parte sarà così completa che il processo della creazione rimarrà un mistero".

venerdì 23 maggio 2014

Nostalgia delle sacre sponde. Poeti e narratori tra memoria dell’infanzia e disillusione del presente.

di
Giada Bellavia



Tutti portano nel cuore il ricordo del proprio paese d’origine, luogo di illusioni, di amori e di ispirazione. Dall’antichità ad oggi si tratta di un tema caro ad una moltitudine di uomini, forse collegati l’uno con l’altro anche per questo comune sentire. Leggendo tra le righe di opere di vari artisti e letterati riconosciamo l’importanza che molto spesso essi danno al proprio luogo natio. In molti ritroviamo, infatti, il tema della “nostalgia di casa”, che viene affrontata, però sotto vari aspetti. 

Una particolarità, quindi, che contraddistingue il carattere e la psicologia di un autore è il modo di intendere e di parlare del proprio luogo natio. Nella poesia «A Zacinto», per esempio, Foscolo mostra non soltanto un attaccamento alla patria di tipo nostalgico, ma anche un’esaltazione alla terra che gli fu da ispiratrice per il suo percorso letterario. A partire dalle allusioni mitologiche contenute nei versi della poesia, notiamo come sia forte nell’immaginario foscoliano la presenza dei miti greci, come Omero.

Foscolo canta le bellezze naturali del luogo che gli diede vita, sapendo con estrema malinconia di non poterci ritornare, essendo in esilio. Ugo Foscolo è l’esempio di ciò che si può provare nell’allontanamento forzato dalla propria terra.

Anche Umberto Saba, in «Città vecchia», una delle poesie collocate nel Canzoniere, rivela un sentimento di nostalgia e affetto per la sua amata Trieste, città che gli diede i natali e in cui visse a lungo. Trieste, città evocata anche da altri illustri scrittori novecenteschi, tra cui Italo Svevo, diviene, nella poesia di Saba, un luogo dell’anima. La comunione spirituale con gli abitanti riecheggia ancora, dentro di lui, persino quando le figure descritte fanno parte di un universo di esperienze non vissute direttamente.

Carducci, nell’opera «Traversando la Maremma Toscana», descrive il paesaggio della Maremma accostandolo dolcemente al suo mondo interiore. “Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano” è il verso che meglio riassume il pensiero del poeta. Ricordi, sogni e riflessioni in frantumi. Obbiettivi che non possono più essere raggiunti poiché egli è ormai in punto di morte.

Sebbene ciascuno degli autori sinora citati riveli un attaccamento malinconico e sognante al proprio luogo d’infanzia, evocato durante l’età adulta come spazio mitico e ormai irraggiungibile, non sempre questa visione delle cose accomuna poeti e letterati. Infatti, si può osservare  come la storia letteraria, in ogni epoca, sia attraversata da pagine amare in cui la terra natale non è più rifugio ma, piuttosto, occasione per ribadire una percezione negativa dell’esistenza.

Ad esempio, è significativo il caso di Giacomo Leopardi, che si distacca quasi nettamente dal pensiero dei poeti prima citati. Il poeta, nel canto «Le ricordanze», parla di Recanati, sua città natale, come una sorta di “prigione” che, da bambino, lo tratteneva dall’essere in qualche modo libero. Egli, già allora, si sentiva molto lontano dalla realtà degli “zotici” che lo circondavano.
Anche in questa discordanza di pensiero, tuttavia, si intravede il ricordo di un luogo di dolci illusioni giovanili, poiché il poeta recanatese lega la visione dell’infanzia  ad un’esperienza sentimentale fanciullesca. La sua poetica palesemente pessimista è una conseguenza del suo vissuto, che non è stato certamente dei più rosei. Proprio per questa commistione tra motivi biografici e invenzione letteraria, troviamo nei suoi versi un misto tra un sentimento di nostalgia e di avversione che colpisce il poeta, dividendolo in una sorta di dissidio interiore.

Un rapporto ricorrente di «odi et amo» che si contrappone nell’animo di tali poeti, contraddistinguendoli per la spiccata capacità di far rivivere quel sentimento, tocca da vicino, in qualche modo, anche la sensibilità del lettore. Ricordare e narrare di momenti, ricordi o luoghi ormai lontani, può assumere diverse sfaccettature che, a seconda del percorso del poeta, interpretiamo in vari modi: un tentativo di scappare dalla realtà, oppure ricordare con rimpianto o con avversione, sono i sentimenti che meglio ricollegano questi artisti.

L’importanza che dunque custodisce l'atto del ricordare, in qualsiasi modo si possa fare, il luogo d’origine, è davvero grande. I ricordi, i sogni, i momenti e anche i dolori, accompagnano il percorso formativo di ciascuna persona. Vi è un momento della vita in cui, in qualche modo, tutti hanno bisogno di scrivere e di parlare del luogo in cui si è vissuti per molti anni, il proprio “giardino dei sogni” dove si è stati bene. Del periodo ormai lontano e spensierato della fanciullezza.

giovedì 22 maggio 2014

Il tempo è imprevedibile, bisogna cogliere l'attimo

Di 
Marialuisa Andaloro

Da sempre il tempo è stato uno dei temi principali della speculazione dell'uomo, in filosofia come in poesia e in musica; ma cosa è il tempo?
Sin dall'antichità, molti letterati e filosofi hanno elaborato riflessioni sul destino dell'essere umano e sul tempo che scorre. Il poeta latino Orazio, ad esempio, compone delle Odi che riguardano lo scorrere del tempo inesorabile e la brevità della vita umana. La più famosa e significativa dal punto di vista etico è l'Ode 11, in cui il "carpe diem" non è un semplice invito a godere, ma ad assaporare quell'attimo unico che non ritornerà mai più. Anche il filosofo Seneca arriva a delle conclusioni sul tempo che lo portano ad affermare che da un lato il tempo scorre velocemente e perciò l'uomo è nato per vivere un'età breve; dall'altro che occorre fare i conti con la vita vissuta e non bisogna rinviare all'infinito le proprie decisioni. Bisognerà, quindi, usare bene il proprio tempo, perché esso è un bene prezioso. 
Oltre che nella filosofia antica, anche nella filosofia cristiana Agostino analizza il problema della fugacità del tempo che non riguarda Dio (perché il tempo è una sua creatura), ma che invece dovrà essere affrontato ogni giorno dagli uomini. Durante il periodo medievale, nelle parole del poeta Francesca Petrarca il precipitare del tempo non può far altro che generare una profonda crisi esistenziale; egli infatti appare lacerato tra l'amore per Laura e quello per Dio e la sua condizione sembra senza via d'uscita. 
Facendo un grande salto in avanti, fino ad arrivare al Novecento, notiamo come cambia la percezione del tempo; lo riscontriamo soprattutto in due grandi scrittori come Marcel Proust e Italo Svevo, rappresentativi del modo in cui la tematica in oggetto viene trattata. Per lo scrittore triestino la salvezza del mondo è nella distruzione del tempo, poiché il passato è inutile da rievocare e farlo risulta estremamente dannoso. Al contrario per Proust la salvezza consiste proprio nel recupero del tempo perduto,che permane dentro di noi e che riaffiora in superficie.

Il tema è trattato anche da grandi artisti come Dalì, che ci ha lasciato il celebre dipinto chiamato "La persistenza della memoria", ma noto come "Gli orologi molli". A proposito di questo quadro, Dawn Ades scrive: "Gli orologi molli sono un simbolo inconscio della relatività dello spazio e del tempo,una meditazione surrealistica sul crollo delle nostre nozioni riguardo ad un sistema cosmico immutabile". Infatti l'idea che Dalì e gli altri surrealisti vogliono esprimere è quella di cancellare tutte le regole fisse che scandiscono la vita di tutti i giorni. In questo dipinto gli orologi hanno una forma poco definita, sembrano fluidi, per dimostrare l'opposto delle ferree regole del tempo. 
sembra dunque impossibile dare in definitiva una definizione chiara e univoca del tempo, che per l'uomo risulta ancora oggi qualcosa di imprevedibile e sfuggente. Il carpe diem di Orazio, forse, non può far altro che indurci a cogliere il giorno e a vivere come se non ci fosse un domani.

mercoledì 21 maggio 2014

Teatro San Carlo...L'inizio di un sogno

di
Simone Mazzeo


Ancora ricordo tutto: l’ansia di attendere fuori da quel portone all’interno del quale sarebbe avvenuta una delle prove più importanti della mia vita. Una volta entrati mi sono cambiato, solita storia: pantaloni, body e scarpette. Io e tutti i restanti ragazzi, una trentina in tutto, che avrebbero dovuto effettuare con me l’audizione ci siamo diretti in sala: cominciato a riscaldarmi, i minuti scorrevano, l’ansia saliva e l’emozione si impossessava del mio corpo. Entrata Anna Razzi, la direttrice del Teatro San Carlo, comparve un sorriso enorme sul mio volto. Ero l’ultimo del primo step della selezione, vi lascio immaginare il mio stato emotivo. Terminata la preselezione la segretaria uscì e recitò nome dopo nome coloro che avevano superato la prima preselezione: proprio come la selezione il mio nome era l’ultimo e prima che lo sentissi ogni nome che non era il mio corrispondeva ad un pugno nello stomaco. Iniziato il secondo step dell’audizione che consisteva in una lezione di danza classica nel corso accademico al quale si aspirava di entrare. Prima di entrare mi ricordai le tre parole che mi ripetevo sempre "Elegante – Pulito – Energico". Il pianoforte cominciò a suonare e quei passi che danzavo da una vita ma che sembravano sempre nuovi erano gli stessi che avrebbero deciso per  il mio futuro. Ricordo benissimo un momento, quasi catartico, nel quale sentivo il mio corpo leggerissimo e non esistevamo nient’altro che io e la musica. Dopo diagonali , salti e pirouettes concludemmo con un inchino e un applauso conclusivo. La lezione era conclusa e solo tre giorni dopo seppi il risultato. Abbassata la cornetta la danza che era sta il mio passato ed il mio presente, da quel momento diventò anche parte fondante del mio futuro. Fui preso al Teatro San Carlo e un’immensa felicità prese me. Quando salutai Napoli infatti non dissi un addio, ma un semplice arrivederci.



Le pagine dell'amore

ANCHE L’INCONTRO DI UN ATTIMO
PUÒ ESSERE AMORE…
UN FILM PER SOGNARE!

Di
Aurora D'Amico


"L'amore più bello è quello che risveglia l'anima
 e ci fa desiderare di arrivare più in alto… 
è quello che incendia il nostro cuore 
e porta la pace nella nostra mente… 
questo è quello che tu mi hai dato 
e che spero di darti per sempre"


(Noah- Ryan Gosling)


"Le pagine della nostra vita", il cui titolo originale è "The Notebook", è un film drammatico e romantico diretto da Nick Cassavetes e interpretato da Ryan Gosling e Rachel McAdams. Il film è  tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Sparks, che con i suoi best seller ha ormai monopolizzato la narrativa romantica in America e nel mondo. I dialoghi sono caratterizzati da grande romanticismo ed è forse proprio questo che piace al pubblico (soprattutto femminile): riuscire ad astrarsi dalla realtà.

Il film “Le pagine della nostra vita”, ambientato in una cittadina della Carolina del sud, ha come protagonisti Allie e Noha. La pellicola ha inizio in una casa di riposo, dove un uomo anziano (Noha) legge stralci di un diario ad una donna (Allie) affetta da demenza senile.
La storia d'amore narrata nel diario tratta di un amore nato nella calda estate degli anni '40.
I due protagonisti si incontrano una sera in un luna park. Nonostante le iniziali ritrosie di lei, soprattutto per le differenze economiche e sociali che li dividono, i due si innamorano follemente e trascorrono un’intera estate senza mai separarsi. 


In autunno, però, Allie viene portata via dai suoi genitori che sono decisi a farle troncare la relazione con Noha. Così i due giovani si perdono di vista per sette lunghi anni, durante i quali Noha prende parte come soldato alla seconda Guerra Mondiale; mentre la ragazza si fidanza con un altro. 
Le cose però non sono destinate a finire così…Per trecentosessantacinque giorni all'anno Noha, infatti, scrive ad Allie una lettera, proprio come le aveva promesso, ma non riceve alcuna risposta, e così inizia a pensare che lei l'abbia dimenticato. Però Allie non ha mai letto nessuna delle lettere, poiché la madre gliele sottrae di nascosto. Non essendo a conoscenza di questo inganno, pensa anche lei che Noha l'abbia dimenticata. 
Dopo essere ritornato dalla guerra, Noha non smette di pensare ad Allie che, anzi, diventa per lui una vera e propria ossessione. Infatti, il ragazzo decide di dedicarsi al restauro, come promesso a Allie, della casa in cui avevano fatto per la prima volta l'amore. La casa viene realizzata come lei aveva desiderato, con un pianoforte e una stanza che dà sul fiume, in cui dipingere.


Tutto sembra continuare così, in una distanza destinata a non colmarsi, ma quando Allie, in procinto di sposarsi con un ragazzo facoltoso che piace alla famiglia, vede casualmente la foto di Noha su un giornale, entra in grande in confusione. Torna così da lui e, durante un romantico giro in canoa sotto la pioggia, tra i due scoppia nuovamente la passione. 
I ragazzi hanno così modo di chiarirsi ed Allie viene a conoscenza delle lettere mai consegnatele da parte della madre… Il diario si conclude con il trionfo del loro amore! E così l'anziana donna, comparsa all’inizio della pellicola, ha un momento di lucidità: quella che sembrava l'appassionante storia di due sconosciuti è più vicina a lei di quanto non credesse. La donna è infatti lei, Allie, la protagonista, e l'amorevole anziano lettore è Noha, suo marito… Ma dopo qualche minuto di gioia, Allie ricade nel suo perenne stato di buio e non riconosce più Noha: lo scambia per uno sconosciuto e lo caccia in malo modo. Noah, intanto, è colto da un infarto. 
Nonostante tutto, l’anziano non si arrende e, nella stessa notte, riesce a tornare da Allie, che finalmente lo riconosce… Allora i due, felici, si danno la buonanotte. Il film si chiude con la visione di uno stormo di anatre in volo, che lascia immaginare che i due siano volati assieme in un luogo senza tempo in cui vivere il loro grande amore unico e immortale. Questa scena è alquanto espressiva e delicata, e allude alla loro prima passeggiata in canoa da giovani.



Se dovessimo descrivere in poche parole il film “Le pagine della nostra vita” lo definiremmo come la classica storia d’amore, che non aggiunge niente al panorama del genere romantico. Senza contare, poi, la scarsità di riferimenti all’ambientazione storica (la seconda Guerra Mondiale, la Guerra Fredda), che può evincersi soltanto dai costumi. La storia non dice niente di nuovo: un amore giovane e profondo ostacolato dalle differenze sociali, a seguire un allontanamento e l’inevitabile lieto fine volto a confermare la natura di un sentimento oltre ogni limite. Ma qualcosa di nuovo in realtà c’è: la storia parallela dei due anziani nella casa di riposo che, è chiaro sin da subito, andrà oltre il semplice ruolo di narratori degli eventi. 

La regia di Nick Cassavetes rende la pellicola scorrevole, non solo grazie alle parti narrate ma anche alle interpretazioni dei due principali protagonisti, che ha contribuito al successo mondiale del film: Ryan Gosling è a suo agio nei panni dell’intrigante Noah Calhoun, mentre Rachel McAdams interpreta con grande bravura Allie Hamilton, una ragazza che pagherà anche da grande la sua insicurezza. La storia di Allie e Noah, narrata con competenza e abilità stilistica da Cassavetes e recitata con grande pathos dai due protagonisti, è così travolgente che i due attori, non a caso, hanno poi trasformato in amore vero quello che era solo parte della finzione cinematografica.
Questo romanticissimo e commovente film è caratterizzato da momenti di grande tenerezza, dove è presente il trionfo del vero e grande amore, miracoloso. Nessuna malattia potrà ostacolare il ricordo e il proseguimento dell'amore dei protagonisti; il loro grande sentimento è capace di tutto. “Le pagine della nostra vita” è una magnifica pellicola classica, uno di quei “film di una volta” che quando cominciano ti prendono e ti portano via, fin dal primissimo istante. Un film senza tempo che ti travolge in un vortice emozionante e passionale. Un film che fa innamorare.

 

"Le pagine della nostra vita" 
rimane un film impossibile da trasferire nella realtà 
e, per questo, è un film adatto per sognare.                 

martedì 20 maggio 2014

Eccellenze dell'Impallomeni, premiata Fabiana Del Bono

di
Pietro Scibilia

Il liceo è tra le istituzioni più antiche del mondo occidentale ed è ancora, nonostante varie metamorfosi, in auge tra i baluardi della formazione e della preservazione culturale. Anche le università italiane, che dovrebbero essere istituzioni di prestigio culturale non solo per il Belpase ma per tutto il globo, riconoscono e premiano le eccellenze provenienti, spesso, dai licei.
In una di queste occasioni è stato riconosciuto non solo il merito formativo liceale ma anche il valore dello studio, dell'impegno e della costanza dimostrato dalla studentessa del nostro liceo Impallomeni, Fabiana De Bono, la quale, insieme ad altre due colleghe messinesi, è riuscita a superare la selezione nazionale per accedere alla frequenza, per una settimana, della Scuola di orientamento estivo della Luiss.
Si tratta di un'esperienza tramite la quale conoscere i diversi campi di apprendimento che caratterizzano il prestigioso ateneo (economia, giurisprudenza, scienze politiche), con la possibilità di sostenere con un anno d'anticipo l'esame di ammissione per l'anno accademico 2015/16 e, inoltre, di concorrere ad una delle 5 borse valide per uno dei cicli triennali o per il ciclo unico di giurisprudenza.

mercoledì 7 maggio 2014

Calvino: l'arte di saper scrivere.

di 
Marialuisa Andaloro
Gabriella Spadaro 


"L'arte di scriver storia sta nel saper tirar fuori
da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto;
ma finita la pagina si riprende la vita
e ci s' accorge che quello che si sapeva è proprio un nulla"
 
                                                                  Italo Calvino, Il cavaliere inesistente 


 


Italo Calvino è un narratore tra i più significativi del Novecento italiano; nella costellazione letteraria disegnata dalle sue numerose opere si ibridano compiutamente vocazioni e temi diversi, dall'impronta neorealistica degli scritti iniziali a quella allegorico-fiabesca della produzione più matura. 
Nella sua prosa, dove sono accolte e filtrate le più alte suggestioni del panorama letterario coevo e dove lo scrittore si rivela spregiudicato sperimentatore di linguaggi e generi, alla lucidità della descrizione analitica fanno da costante contrappunto il lirismo e l'ironia, sostanziati da una riflessione profonda e disingannata sul senso ultimo dell'esistenza umana.Calvino, considerato il più grande favolista per ragazzi della letteratura del Novecento, era da sempre stato attirato dalla letteratura popolare e dalle fiabe, che costituiscono la fonte d'ispirazione per i suoi romanzi. 
Già con "Il visconte dimezzato"(1952), il primo libro della Trilogia Araldica, l'impianto è totalmente fiabesco e la narrazione può essere letta con funzione allegorico simbolico, che consente al lettore di elaborare spunti di riflessione e di raggiungere una sorta di equilibrio interiore. La bizzarra storia del visconte Medardo di Terralba che, colpito al petto da una cannonata turca, torna a casa diviso in due metà (una cattiva, malvagia, prepotente, ma dotata di inaspettate doti di umorismo e realismo, l'altra gentile, altruista, buona, o meglio "buonista"). 
Nel secondo libro della trilogia "Il barone rampante"(1957)Il narratore ripercorre la lunga vicenda del fratello, Cosimo di Rondò, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo a Ombrosa, in Liguria. Cosimo, per sfuggire a una punizione inflittagli dai suoi educatori, decide di salire su un albero per non ridiscendere mai più. Cosimo si costruisce un mondo aereo dove diversi personaggi della cultura e della politica (Napoleone compreso) lo vanno a trovare, testimoniandogli la loro ammirazione. Vive anche una tormentata storia d'amore con la volubile Viola. Cosimo muore vecchio, senza mai discendere in terra: ammalato, in punto di morte, si aggrappa alla fune di una mongolfiera e scompare mentre attraversa, così appeso, il mare. Il protagonista de "Il barone rampante" è un alter ego dello stesso autore, che ha ormai abbandonato la concezione della letteratura come messaggio politico ed esprime un desiderio di ribellione e di rivendicazione della propria libertà individuale. 

"Il cavaliere inesistente"(1959), terzo volume della trilogia de "I nostri antenati" che racconta le gesta di Agigulfo, cavaliere di Carlo Magno che ha una particolarità: dentro l'armatura non esiste.
Agilulfo è il simbolo dell'uomo "robotizzato", che compie gesti burocratici con incoscienza quasi assoluta. E' velato da un cupo pessimismo dietro al quale la realtà appare irrazionale e minacciosa, mentre evidenzia il tema dell'adempimento delle regole e dei protocolli di cavalleria, sottolineando l'idea della confusione della propria identità con quella degli altri e con il mondo esterno. In questa trilogia, Calvino ha espresso metaforicamente tre diverse esperienze attraverso le quali l'uomo riesce a trovare il giusto equilibrio tra bene e male,(Il visconte dimezzato"), alienato ("Il barone rampante")  e  ridotto a pura apparenza (" Il cavaliere inesistente").

Donne e diritti: lavori in corso verso la parità

                                                      
di
Ylenia Calogero
Maria Elena Cambria
Valeria Devardo 
 
                  Fornire alle donne una base di uguaglianza
nel mondo del lavoro
non solo è eticamente giusto,
è anche un investimento intelligente
                                                                                 nel lungo termine.
Evy Messell
   (direttrice dell'Ufficio dell'ILO per le Pari Opportunità)

 

La mancata uguaglianza tra l'uomo e la donna è un problema di carattere mondiale. La condizione femminile è passata attraverso notevoli evoluzioni nel corso dei secoli, o addirittura dei millenni, per via dei fattori che influenzano l'organizzazione delle diverse società, compresi gli aspetti geografici, storici e religiosi di ciascun popolo. Dal Medioevo ad oggi, per le donne il percorso per rivendicare e preservare i propri diritti è stato, purtroppo, perennemente arduo. E il cammino da compiere, specialmente in certi contesti culturali, sembra ancora molto lungo.

Ministro Boschi
Tra i grandi passi compiuti nel corso del Novecento, per tentare di raggiungere uno status paritario a quello maschile, non possiamo non ricordare almeno la battaglia delle suffragette, grazie alle quali, nel 1928, fu concesso il voto alle donne maggiorenni. E in Italia bisognerà aspettare il 2 giugno del 1946 affinché tutte le donne  possano votare per una consultazione elettorale nazionale.
E oggi? Il ruolo della donna nella società contemporanea racchiude un insieme di culture e visioni, differenti anche in base alle diverse latitudini: nell'area Islamica e dell'Estremo Oriente, le donne vivono un'accentuata condizione di inferiorità. Alle giovani donne, destinate al futuro di mogli e madri, viene negato il diritto ad istruirsi. Escluse dalla vita politica, sono costrette ad una vita rigorosa e devota alla figura dell'uomo.             
Tuttavia, nei paesi sviluppati il divario tra i due sessi non è effettivamente colmato, malgrado le recenti concessioni a favore delle donne che hanno portato ad un'apparente uguaglianza. Basti guardare al ruolo della donna in politica, che non è ancora abbastanza evoluto, ad eccezione della Scandinavia.
Per non parlare, poi, del mondo del lavoro, dove il raggiungimento di posizioni di potere da parte di una donna è visto ancora come l'eccezione, e non come la regola.

Donne e pubblicità.
Ma al di là delle effettive conquiste, permangono pregiudizi sul ruolo della donna difficili da sradicare anche a causa di come essa viene rappresentata attraverso i mass media. In questo senso, la donna rischia di essere svalutata per le sue capacità e addirittura utilizzata come "strumento" a servizio delle strategia di marketing. Nelle campagne pubblicitarie, ad esempio, la figura femminile entra in conflitto con se stessa dando consenso a tale mercificazione, da noi definita "sfruttamento non riconosciuto", rinnega se stessa e i diritti che le appartengono. Riducendo il proprio corpo a vera e propria merce, i diritti ottenuti in secoli di storia, testimoniati dai numerosi sacrifici di innumerevoli donne, sfumano negli stereotipi trasmessi nell'immaginario collettivo. Ma non si tratta di un argomento nuovo, poiché la questione di come pubblicità, spettacolo e media trattino il corpo e l'immagine femminile, contribuendo a relegare la donna tra gli oggetti di piacere del mondo maschile, è una questione ampiamente indagata e dibattuta sotto molteplici prospettive. Dalle gambe delle più famose “Miss Italia” della televisione in bianco e nero, i tinelli degli italiani sono stati da sempre attraversati dal brivido ammiccante e seducente del corpo femminile. Le showgirl del piccolo schermo, con i loro abitini provocanti, saltellano per lo studio per convincere lo spettatore a non cambiare canale. Le telecamere vanno su e giù soffermandosi soprattutto su quelle parti del corpo poco coperte. Nonostante tutte le difficoltà per affermarsi, qualche dato è però confortante. Oggi sono un miliardo e duecento milioni le donne che lavorano nel mondo, un numero che negli ultimi dieci anni è cresciuto quasi del venti per cento. Ma per lo più le donne sono confinate nei settori meno produttivi, sopportano i maggiori rischi economici e sono ancora molto lontane da un lavoro adeguato al proprio profilo di studi e di formazione. Ci sono più donne al lavoro, quindi, ma per la gran parte di loro i problemi restano. Soprattutto se si guarda ai settori in cui sono attive e ai diritti di cui godono. La domanda “Siamo nel 2014 o nel 1814?” sorge spontanea quando giovani ragazze ai colloqui di lavoro si sentono dire: “Andresti bene, ma se rimani incinta?”. Seguendo questo modernissimo ragionamento l’occupazione femminile dovrebbe essere eliminata e le donne dovrebbero tornare a fare lasagne e lavatrici.I tempi sono cambiati, la mentalità no. L’obiettivo deve essere quello di garantire a tutte le donne un impiego non condizionato dal fatto di essere considerate diversamente rispetto agli uomini. Questo va considerato anche come precondizione per lo sviluppo economico: le aree dove si è registrata una significativa crescita economica sono, infatti, quelle con la più elevata partecipazione femminile al lavoro. Pure la ricerca di un lavoro coerente con il proprio percorso di studi è molto più ardua per le ragazze: a fronte di un 18% dei maschi che non ha trovato un impiego coerente con il proprio ambito di studi, la percentuale sale di oltre dieci punti percentuali nel caso delle femmine. La verità è che gli indirizzi scolastici universitari privilegiati dalle ragazze risultano essere spesso disallineati rispetto alle opportunità offerte dal mondo del lavoro. Anche in azienda, sin dalla prima esperienza di stage e tirocinio, le femmine vengono retribuite meno della metà rispetto ai colleghi maschi e soffrono di una maggiore instabilità lavorativa. In una società futura il ruolo della donna deve emanciparsi dai limiti imposti dalle ideologie politiche o religiose. In ogni Paese del mondo non ci sarà più una donna maltrattata, picchiata o condannata a morte per lapidazione, ma una donna rispettata per le sue capacità intellettive, per il suo essere moglie e per il suo essere madre. 

Tra timori per l'immigrazione e fame di manodopera

di
Isabella Giorgianni
Floriana Mannino

Sempre più diffuso in Italia, il fenomeno dell’immigrazione, ci mette quotidianamente di fronte alla realtà di stranieri costretti a spostarsi dal proprio luogo originario per cause ambientali, economiche e sociali. In base al nuovo decreto che regolamenta i flussi stagionali, firmato con estremo ritardo, si prevedono 10 mila posti a disposizione per l'ingresso di manodopera straniera nel nostro paese. Decisamente pochi  rispetto allo scorso anno, quando il provvedimento interessò 30 mila persone provenienti dalle aree più devastate dalla guerra e dalla estrema povertà. Questo dato ci fa riflettere su quanto pesi il fattore crisi nel nostro paese, in quanto gli esperti del Ministero del Lavoro hanno calcolato per il 2014 una riduzione davvero notevole del fabbisogno di manodopera rispetto all’anno scorso. A risentire di più è l’agricoltura, danneggiata dalle pratiche di ingresso e introduzione di questa manodopera nei campi, dato che il raccolto non aspetta di certo i tempi della nostra burocrazia. Le modalità delle domande sono le solite: si fa tutto tramite web con la compilazione online e con accesso sia personale che tramite i patronati.  
Con la circolare congiunta del Ministero del Lavoro e del Ministero dell’Interno, inoltre, sono stati forniti specifici chiarimenti sulla conversione del permesso di soggiorno stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Pertanto, è stato disposto che nei casi di domanda di conversione del permesso di soggiorno non debba essere accertato l’avvenuto rientro del lavoratore stagionale nel paese d’origine. E’ stato anche eliminato il visto nazionale indispensabile per l’ingresso in Italia dei familiari extracomunitari dei cittadini UE. Di conseguenza gli uffici non dovranno più rilasciare i visti d’ingresso nazionali per motivi familiari, ai fini di un lungo soggiorno, ai cittadini stranieri familiari di cittadini UE.
Per di più non si fermano le polemiche  che ormai invadono i palazzi della Camera dei Deputati, le televisioni e tutti i giornali nazionali riguardo ai continui sbarchi e alle recenti vicende del salvataggio di migliaia di migranti in mare grazie all’operazione “Mare Nostrum”. Durante la notte dello scorso 21 aprile la nave San Giorgio ha soccorso 321 persone al largo di Lampedusa e solo nelle ultime ore ne sono arrivate oltre 800 a Pozzallo, mentre nei giorni scorsi circa altri 1000 migranti sono stati divisi tra la Sicilia e la Calabria. Così dall’inizio dell’anno si contano oltre 20mila arrivi, e il numero è destinato a salire avvicinandosi alla fase estiva.
Ma l’operazione “Mare Nostrum” stavolta è sotto esame soprattutto perché il corso di tutte le operazioni congiunte ammonta a 9 milioni di euro al mese, in quanto dal novembre 2013 vengono impiegati il personale e i mezzi navali ed aerei della Marina Militare, dell’Aeronautica Militare, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Guardia Costiera nonché del personale del Ministero dell’Interno per il controllo dei flussi migratori via mare. Per questo molti parlamentari hanno vivacemente contestato questo sistema che, secondo loro, non fa altro che “finanziare gli scafisti e l’invasione”.
Adesso in Parlamento e poi al Senato si passerà ai fatti con le proposte di modificare queste operazioni o, addirittura interromperle e, da qui, si deciderà il destino di migliaia di vite umane.

L'amore che uccide

 
di
Maria Elena Cambria 
Valeria Devardo 
Ylenia Calogero

Femminicidio: violenza estrema da parte dell'uomo contro la donna. Così venne definito per la prima volta, dalla messicana Marcela Legarde, l'atto brutale con cui si spegne la vita di una compagna, una madre, una moglie, una fidanzata, una sorella, una figlia. Una donna. Privata prima della libertà di scegliere e infine cancellata per sempre dall'uomo che, nella maggior parte dei casi, dice di amarla.
A livello mondiale la diffusione di questo fenomeno ha assunto proporzioni allarmanti. I dati statistici del 2013 registrano 177 vittime all'anno, tendenza purtroppo confermata anche nei primi mesi del 2014. L’autore del femminicidio è nel 48% dei casi il marito, nel 12% il convivente, nel 23% l’ex. Nel 61% dei casi si tratta di un uomo tra i 35 e i 54 anni; generalmente il persecutore non fa uso di alcool e di sostanze stupefacenti. 
Le donne muoiono principalmente per mano dei loro mariti, ex-mariti, padri, fratelli, fidanzati o amanti, innamorati respinti. Insomma per mano di uomini che avrebbero dovuto rappresentare, per loro, una sicurezza. Gli omicidi basati sul genere si manifestano in forme diverse, ma ciò che li accomuna, nella maggior parte dei casi, è proprio l’uccisione a seguito di una violenza subita, giorno dopo giorno, nell’ambito di una relazione intima.  
Lo scorso 17 marzo abbiamo assistito alla storia tremenda di un uomo di 53 anni che ha scatenato la propria furia contro la moglie, uccidendola con un martello di fronte ai figli, due gemelli di 9 anni, che hanno provato a fermare il padre in questi attimi di follia e sono ancora sotto choc. Per lui, che non aveva accettato la separazione, la frase “Hai bisogno di una doccia” suonava come un'offesa. "Lei mi umiliava", avrebbe detto l'uomo durante l'interrogatorio. Ma il suo racconto è stato pieno di "non ricordo" e le indagini sono ancora in corso. 


Le cronache nazionali, e non, sono purtroppo piene storie di sangue come questa, in cui l’amore e il rispetto dell'uomo verso la figura femminile cessano e lasciano il posto a episodi di violenza inaudita, che è difficile da comprendere e spiegare. Una nazione come la nostra, che fino al 1946 non ha permesso alle donne di votare e fino agli anni 60 di poter entrare in magistratura, oggi subisce le estreme conseguenze di questa mentalità: la donna è un essere inferiore e per questo va dominata. Ci ritroviamo così di fronte a matrimoni combinati dalle famiglie per tutelare il "clan", di fronte alle cosiddette “spose bambine” di molti paesi stranieri, di fronte alle innumerevoli donne picchiate, umiliate, maltrattate e infine uccise, anche nella "civilissima" Italia. 
La domanda però sorge spontanea: che assistenza viene data a queste donne? Che sorveglianza viene riservata? Qualcuno le aiuta? Queste domande forse non troveranno risposta, ma sono l'amara testimonianza di come la "giustizia" rischia di essere qualcosa di relativo, applicata poco e male quando serve. Ci sono casi che, fortunatamente, non sfociano in un finale drammatico, ma tante altre volte non è così e chissà quante donne non hanno il coraggio di denunciare un uomo violento, temendo di ritrovarsi sole ed indifese. 
Questa situazione logora mentalmente moltissime donne che si sentono abbandonate da tutti e schiave del proprio uomo; potrebbero denunciare ma non lo fanno perché hanno paura. Il dolore fisico è grande, ma mai come quello dell’anima violentata e distrutta, come i sogni di ogni donna innamorata.

A tutta scuola. I progetti PON del nostro Liceo

di Giuseppe Nastasi

I corsisti del PON di Italiano, con le professoresse Flaviana Gullì e Angela Picciolo.
Il giornalismo è la nostra materia!
Come tante altre scuole, anche la nostra ha avviato una serie progetti extracurriculari volti all’approfondimento delle diverse materie di studio. Si tratta dei PON (acronimo di "Programma Operativo Nazionale"), cioè di progetti, realizzati grazie al contributo del Ministero dell'Istruzione e di fondi strutturali europei, attraverso i quali gli studenti, selezionati tramite apposite graduatorie, hanno l'opportunità di sviluppare e consolidano le loro competenze.
Su iniziativa del Consiglio di Istituto, già da settembre è stato presentato il quadro generale di tutti i corsi proposti. I progetti prevedono una durata variabile  dalle 30 alle 50 ore, da organizzare nelle settimane dell’anno scolastico. Al termine delle lezioni di ciascun corso, è previsto un esame che, una volta superato, garantisce il rilascio di un attestato di partecipazione. 
Tra i più seguiti, ci sono quelli dedicati allo sviluppo delle competenze nella lingua inglese, che consentono di prepararsi per la certificazione  dei livelli PET e First. Ma non è solo l’inglese ad essere protagonista dei PON, in quanto anche alcune discipline di carattere umanistico e scientifico sono oggetto di studio durante specifici progetti. 
Il Liceo Impallomeni ha privilegiato, in particolare, l’aspetto linguistico e scientifico, realizzando corsi di scienze, tedesco e italiano. Il corso di tedesco viene tenuto per gli studenti dell’indirizzo linguistico,  che hanno avuto la possibilità di partecipare ad uno stage a Berlino. Il PON di scienze racchiude in sé le competenze derivanti dallo studio della fisica e della matematica. 
Ultimo, ma non per importanza, il corso di italiano “Parlare, leggere e scrivere”, che consente agli studenti di mettere in luce il proprio talento di giornalisti in erba, migliorando le competenze di scrittura. Esito di questo PON è il Blog sul quale ci state leggendo, che abbiamo voluto sviluppare come un contenitore per articoli, saggi brevi, interviste. 
L'esperienza dei PON durante quest'anno scolastico, dunque, ha confermato il valore positivo dello studio e della formazione, dimostrando che si può imparare anche divertendosi e mettendosi in gioco in prima persona. Ma, soprattutto, la vera lezione è che investire su se stessi, nel tentativo di migliorare sempre di più le proprie competenze, è una carta vincente per avere successo nel raggiungimento dei propri obiettivi, arricchendo il curriculum e preparandosi ai percorsi universitari.