lunedì 26 maggio 2014

Il tempo: una realtà indefinibile?

Di
Elisa Miceli

Cos'è il tempo? E' questa la domanda che, sin dall'antichità, ha tormentato le grandiose menti di letterati e filosofi. Ancora oggi, l'uomo non riesce a darsi una risposta.



La ricerca di una soluzione al quesito risale già all'epoca augustea. Il poeta Orazio, ad esempio, cerca di dare una spiegazione con il "carpe diem", che non deve essere inteso come un banale invito al godimento, ma come una sollecitazione a cogliere l'attimo, distogliendo lo sguardo da ciò che verrà. 

Il futuro, infatti, è incontrollabile ed imprevedibile: è quindi sconsigliabile riporre eccessiva fiducia in qualcosa di così fugace. La spensieratezza e la serena accettazione del presente sono gli unici rimedi alla brevità del tempo che, secondo Seneca, viene continuamente sprecato dall'uomo. L'umanità non ha la consapevolezza che il tempo è un bene non rinnovabile, sempre sottratto dagli eventi della vita. Non bisogna né temere, né desiderare il futuro, ma vivere il presente, su cui incombe una morte imminente, in modo attento e saggio.



La consapevolezza dell'inesorabilità del divenire ha portato la complessa personalità di Agostino a dubitare sull'esistenza e sulla natura del tempo. Il filosofo, dopo essersi a lungo interrogato, è giunto a negarne l'essere; i limiti del tempo non riguardano Dio, fautore di ogni cosa esistente in natura. Da ciò si evince che se la divinità non è soggetta al mutamento, lo stesso non si può dire dell'uomo che non può comprendere, in quanto essere finito, cosa esso in realtà sia: il passato, infatti, non è più, il futuro deve ancora essere ed il presente, se non si traducesse in passato, costituirebbe un'eternità.



La questione della percezione del tempo, così, ha attraversato i secoli, continuando a persistere anche nel '900, un'epoca talmente densa di eventi da proporci numerose riflessioni. Il secolo breve per eccellenza, così come viene definito dalla storiografia, ci ripropone le interpretazioni di autori quali Marcel Proust e d Italo Svevo, che hanno elaborato diverse concezioni del divenire. Se da un lato, come si evince dalla lettura di Proust, si tenta un recupero casuale del tempo tramite tramite la memoria, dall'altro, come sostiene Svevo, si afferma la credenza che la salvezza sta proprio nella distruzione del passato. L'uomo diventa ciò che è grazie alle esperienze che vive, in quanto non esiste felicità, né dolore, senza un ricordo che lo causa. La memoria, però, può anche logorare l'animo; l'unica salvezza, in questo caso, è l'annichilamento di quest'ultima, trasformando il tempo in una realtà imperitura.



Le risposte acquisite nel corso dei secoli sono molto controverse: riusciremo mai a dare una definizione di tempo? Esso, così come sostengono gli intellettuali antichi e moderni, è una realtà indefinibile, un continuo divenire inarrestabile, che logora l'uomo e la sua giovinezza.

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