sabato 21 febbraio 2015



Montalbano, tra corna e affari internazionali

 Francesca Romana D'Amico  V C Liceo Classico




“ La gita a Tindari” è uno dei romanzi di Andrea Camilleri appartenente alla serie di Montalbano.
È la solita telefonata a distrarre il commissario dalla routine quotidiana. Due eventi misteriosi sono avvenuti a Vigàta: l’assassinio di Nenè Sanfilippo, giovane dongiovanni, e contemporaneamente la scomparsa di una coppia di anziani coniugi, i signori Griffo. L’unica connessione tra i due casi consiste nella residenza dei protagonisti, che abitavano nello stesso palazzo. Inizialmente Montalbano non collega i due fatti, distratto anche dalle vicende personali e dall’imminente matrimonio di Mimì Augello, compagno fidato di ogni indagine. Al ritrovamento dei corpi dei due anziani, la prospettiva sul caso cambia. Montalbano scopre che i coniugi Griffo erano stati visti l’ultima volta in pubblico durante una gita a Tindari, in seguito alla quale non si erano più avute notizie di loro.   È  una bella studentessa universitaria, che per l’occasione vendeva sul pullman articoli per la casa, a riferire il  comportamento preoccupato e ansioso dei due coniugi. Inoltre, la ragazza ritiene che al ritorno, dopo una fermata  da loro stessi richiesta, i due non erano risaliti. A questa già intrigata vicenda si aggiunge l’incontro tra il nostro commissario e il novantenne Balduccio Sinagra, importante capo mafia. A farsi evidente nel discorso del malavitoso è la differenza tra la vecchia e la nuova mafia, ma le sue parole sono molto misteriose. Infine, l’anziano fa in modo che la squadra di polizia arrivi nel luogo dove il boss ha fatto assassinare il nipote Japichinu Sinagra. Così facendo, il vecchio boss ha la speranza che il commissario attribuisca ingenuamente la responsabilità del delitto ai nemici dei Sinagra. Montalbano intuisce, però, che si tratta di una trappola. Grazie alla scoperta di una casa diroccata, appartenuta ai coniugi Griffo, e covo dell’esperto informatico Nenè Sanfilippo, Montalbano capisce di trovarsi di fronte a un affare molto grosso. Ipotesi confermata della relazione segreta, bruscamente interrotta, tra Nenè e Vania Ingrò, giovane donna di origine rumena moglie di un noto chirurgo. Indagando sulle attività e sugli introiti illeciti del medico, Montalbano  riesce finalmente a ricostruire la vicenda per intero. Proprio a Vigàta era situata una delle basi di una nuova mafia internazionale dedita al contrabbando di organi. Questa organizzazione, ramificata in tutto il mondo, operava per lo più tramite Internet,  avvalendosi delle conoscenze informatiche di Nenè Sanfilippo e delle abilissime mani del dottor Ingrò. Ne era entrato a far parte anche Japichinu Sinagra, diventando un rivale e un pericolo per il nonno.
Il romanzo in questione rappresenta uno dei migliori libri della saga di Montalbano. Camilleri, con la sua scrittura “scanzonata” e soprattutto grazie all’uso del dialetto siciliano, riesce a farci vivere al meglio l’esperienza di un paesino siciliano. La caratterizzazione dei personaggi, di cui vengono sottolineati soprattutto i difetti, è molto curata. Il noto protagonista in questo libro ci mostra una vena intellettuale, citando Conrad e l’Innominato. I toni sono leggeri, spesso comici, e l’intreccio indistricabile della trama lascia il lettore con il fiato sospeso. Le ipotesi non mancano, ma la vicenda appare troppo frammentata per dare la possibilità al lettore di immaginare la soluzione del caso.
  Il tema centrale è la lotta alla criminalità e, come in altri libri di Camilleri noto per la sua coscienza civile, il problema viene affrontato nella sua quotidianità. Interessanti i risvolti internazionali della mafia che causano in Montalbano quasi uno spaesamento, tratto che viene presentato con realismo. Il tema del commercio degli organi umani non viene approfondito, ma desta uno sconcerto tale nei personaggi e nel lettore da provocare una seria riflessione sulle ingiustizie di cui, troppo spesso, l’uomo si macchia. Da notare, anche, la rappresentazione del potere, distante, personificato dal questore che con occhio critico giudica i metodi poco canonici del commissario di Vigàta.

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