sabato 12 aprile 2014

Ratzinger e Bergoglio: due papi a confronto

di
Enea Miraglia

Duecentosessantacinque sono gli uomini che si sono succeduti sul soglio di Pietro. Ognuno di loro nell'eseguire il duro mandato, affidatogli dai principi della Chiesa sotto ispirazione dello Spirito Santo, ha sicuramente introdotto novità o riportato in vita tradizioni, ma nel farlo ha incondizionatamente seguito un disegno superiore, che gli uomini difficilmente possono capire o che comunque riescono a comprendere solo dopo secoli di storia. Bonifacio VIII e Celestino V, Pio IX e Pio X, Benedetto XVI e Francesco. Storie di uomini, di papi e di pontificati all'apparenza diametralmente opposti, ma entrambi pienamente legittimati dall'elezione canonica. Certamente, gli stessi pontefici hanno negato l'ispirazione divina dell'opera di Bonifacio VIII, per esempio, ma non è questo l'articolo giusto per parlarne. Soffermiamo l'attenzione su due personaggi più attuali e sicuramente meno controversi: Benedetto e Francesco. 
Il primo etichettato come un tradizionalista dalle scarpette rosse, un uomo autoreferenziale alla Chiesa come istituzione, un teologo poco pragmatico e lontano dalla gente. Il secondo definito difensore dei poveri, modernista, un padre vicino alla gente, anzi un pastore che "puzza dell'odore delle pecore". Ma chi siamo noi per giudicare? Chi siamo noi per dire quale tra i due abbia fatto meglio per la Chiesa? Eppure sempre più spesso ci troviamo davanti a frasi come “Francesco è la luce dopo le tenebre di Benedetto”, che fanno male non a Ratzinger o a Bergoglio (o ai rispettivi sostenitori), ma alla Chiesa stessa. Il cammino della Chiesa è uno ed è inconcepibile, senza riflettere sul fatto che ogni evento è frutto di quello precedente e serve allo sviluppo dell'altro. Benedetto XVI, il papa teologo, non è altro che la conseguenza di un pontificato ventennale in cui la Chiesa è uscita fuori dalle sue mura per portare la novella di Cristo al mondo, esponendosi in un circolo mediatico, prolifico per le anime, ma talvolta dannoso per la dottrina. Benedetto XVI è stato il papa che ha dovuto raccogliere l'eredità di un uomo straordinario che ha “sdoganato” la figura del pontefice, per renderla quella di un uomo comune al servizio dei suoi amati fratelli e sorelle. Uno sdoganamento lodevole, che ha concorso alla sua santità, ma che, se ancora portato avanti, avrebbe potuto compromettere la stabilità e l'autorità di quello che pur sempre è e rimane il successore del Principe degli Apostoli, vicario di Cristo in terra e difensore estremo della Chiesa. Eppure il pregiudizio verso di lui si è notato subito. Già si è visto sin dall'inizio, quando il cardinale protodiacono dopo l'Habemus papam, al momento di dire il nome assunto dal nuovo papa disse “Benedictum” ed i giornalisti lo etichettarono come un nome prettamente aristocratico. Così non è stato il 13 marzo 2013, quando il cardinale protodiacono, pronunciando la stessa frase, la concluse con il nome “Franciscum” ed ecco che gli stessi giornalisti lo definirono il papa povero per i poveri.
L'aneddoto racchiude una grande verità: spesso si crea l'immagine di una persona senza studiarla e senza conoscerla, basandosi solo su una piccola impressione, sia essa la croce d'oro e quella d'argento o il nome aristocratico e quello povero. E' innegabile che tra i due esista una differenza, ma la differenza è di metodo non di contenuti. E' vero che Ratzinger non abbia disdegnato l'uso delle vesti papali più solenni, mentre Bergoglio si accontenta della semplice talare bianca, è vero che Ratzinger abbia preferito, da teologo e grande studioso, esprimersi anche in maniera brutale sulle questioni più controverse a cui la Chiesa è chiamata a rispondere, mentre Bergoglio preferisce avere il volto più tenero dell'uomo buono disponibile al confronto, ma è anche vero che i due modi di porsi indicano due modi diversi di essere. Allo stesso tempo è assolutamente irreale pensare che queste differenze si concretizzino in un modo di gestire diverso della madre Chiesa. Francesco in questo si colloca in perfetta continuità con Benedetto, lo si vede dai documenti che pubblica, tra cui uno che riceve dallo stesso Papa emerito, lo si vede dalla mancanza di dinieghi delle azioni del suo predecessore, ma soprattutto lo si vede da come parla di colui che definisce come "il nonno saggio che distribuisce consigli azzeccati per ogni cosa". Sono solo due persone diverse, nate da contesti diversi, formate da una cultura diversa, e con un percorso personale anch'esso divergente. Da un lato Joseph, uomo tedesco chino sui libri e amante dello studio teologico, sacerdote di curia, arcivescovo per breve tempo incompreso dal suo gregge, cardinale prefetto dell'ex Inquisizione, custode dei dogmi ecclesiali sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Dall'altro Jorge Mario, ridente italo-americano, amante della compagnia, sacerdote gesuita delle parrocchie più povere del suo paese, pastore di Buenos Aires. Le loro sono due vite diverse, ma accomunate da alcuni punti: la vocazione, la totale fiducia in Dio e l'elezione al soglio di Pietro. Elezione quest'ultima che non può e non deve cambiare l'intero percorso di vita, ma che anzi da questo deve trovare arricchimento.

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