mercoledì 23 aprile 2014

Perché leggere i classici? 

di 
Mariaserena Di Giovanni 
Noemi Capasso

"Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli". Italo Calvino



Un classico è un libro che non diventa 'vecchio' col passare del tempo. E' un libro memorabile, un libro che insegna, che propone modelli di comportamento. I classici sono strumenti che aiutano a crescere sia culturalmente che intellettualmente e si leggono per lo stesso motivo per cui si studia la storia. Leggere un libro classico per la prima volta nell'età adulta è un piacere molto grande, diverso - ma non minore - rispetto a quello che si prova quando lo si legge in gioventù. Infatti, spesso le letture da parte dei giovani sono caratterizzate da elementi, quali impazienza e distrazione, che non fanno goderne il piacere come, invece, dovrebbe avvenire. In realtà, possono essere molto utili per i giovani lettori, poiché forniscono modelli, esempi di vita, norme di comportamento. I classici sono dei libri 'base' per la formazione di un individuo, perché, anche se sono stati composti in epoche storiche lontane e contesti sociali diversi, presentano comunque temi ricorrenti e vicini a chi legge oggi. D'altronde, quelle che per noi al momento sono delle opere 'classiche', nel periodo in cui sono state composte erano libri comuni; e quelli che per noi adesso sono dei libri 'commerciali', fra qualche anno, con nostra grande sorpresa, potrebbero essere considerati classici. E a tal proposito, possiamo prendere ad esempio libri come 'Tre metri sopra il cielo', 'Amore 14' e tutti quegli altri libri che attirano i giovani solo perché sulle loro copertine compaiono le fascette con su scritto 'Oltre 10 mila copie vendute', 'Il best seller che ha appassionato milioni di giovani', che spingono le nuove a generazioni a pensare che se è stato acquistato da cosi tante persone, un motivo ci sarà. 
Allora occorre modificare il titolo del famoso libro di Italo Calvino da 'Perché leggere i classici?' a 'Perché non leggere i classici?' Forse per dar spazio a questi libri 'giovanili' che i ragazzi amano cosi tanto solo perché imposti dalla società? La risposta è si. La domanda adesso sorge spontanea: perché? Probabilmente perché gli adolescenti si riconoscono nei protagonisti di questi nuovi romanzi, che parlano di amori, di gruppi, di ragazzate. E rifiutano di leggere libri istruttivi perché li ritengono vecchi, passati di moda, accademici. Ma molto più probabilmente ci si accosta ad un classico per il suo essere sempre attuale in qualsiasi epoca si legga. Nel "Simposio", Platone definisce, infatti, la poesia e la letteratura come il passaggio "dal non essere all'essere" e come la mimesi di un qualcosa di eterno e di straordinario che eleva l'uomo alla sfera divina, dove tutto è perfetto. Dunque bastano poche parole di un classico qualsiasi per trovare un mondo nuovo molto vicino al nostro, ma allo stesso tempo molto lontano.



La culla della civiltà greca: Atene

di
Elisa Miceli 
Marialuisa Andaloro


Alcuni allievi del liceo classico "G.B. Impallomeni" di Milazzo hanno avuto modo di approfondire i propri studi con la visita della culla della civiltà greca: Atene.


Secondo la tradizione la città di Atene ebbe origine mitiche: la polis, infatti,  nacque dalla disputa fra due divinità, Atena e Poseidone. Essi, volendo fondare una nuova città che avesse il loro nome, decisero di conquistarsi la simpatia degli uomini offrendo loro dei doni speciali. Il dio dei mari offrì loro un toro e del sale, nonchè il suo appoggio durante le battaglie; la dea della sapienza, invece, un magnifico ulivo, promettendo intelligenza, saggezza e pace. Gli ateniesi, desideorosi di quiete e tranquillità, consacrarono la loro città ad Atena, da cui il nome.
L'età d'oro di Atene viene legata all'ascesa al governo di Pericle. Il tiranno, infatti, avviò una campagna di costruzione di opere pubbliche con lo scopo di abbellire la città. Fra le sue più importanti innovazioni, ricordiamo la ricostruzione dell'Acropoli, realizzata grazie alla collaborazione con Fidia, uno dei più noti architetti e scultori dell'età classica.
Tutt'oggi l'Acropoli, dichiarata nel 1987 patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, appare in ottime condizioni.  L'ingresso monumentale è costituito dai Propilei, un vasto corpo centrale ornato da sei colonne doriche. Attraverso la via sacra, durante la Processione delle Panatenee, i cittadini ateniesi portavano in dono un peplo decorato alla statua di Athena Promachos (Atena che combatte), meravigliosa statua bronzea realizzata da Fidia.
Sul lato ovest dei Propilei sorge il Tempietto di Athena Nike, progettato dall'architetto Callicrate. Nonostante le ridotte dimensioni, costituisce uno straordinario esempio di architettura classica. E' un tempio ionico, anfiprostilo e tetrastilo e ospitava una statua della Vittoria aptera (era senza ali perchè non avrebbe mai dovuto lasciare la città) che recava in mano una melagrana.
A sinistra di questo, nel luogo in cui Atena aveva fatto germogliare l'ulivo, si trova l'Eretteo, il tempio dedicato ad Atena ed a Poseidone Eretteo. La particolarità dell'Eretteo, che è ionico, anfiprostilo ed esastilo, è la suggestiva loggia delle Cariatidi. Secondo il mito, le Cariatidi erano le fanciulle della regione Caria che, rese schiave, erano state costrette a portare il peso del loro disonore. Le Cariatidi, quindi, vengono assimilate a delle colonne, perchè il peso della trabeazione che sorreggono è paragonabile a quello della loro vergogna. Nel punto centrale dell'Acropoli si innalza il Partenone, tempio dedicato ad Athena Partenos e realizzato in marmo pentelico dagli architetti Ictinio e Callino, con l'esclusiva collaborazione di Fidia, che ne realizzò i frontoni, le metope ed il fregio. E' costituito da 8 colonne doriche sul davanti e 17 lungo i lati e poggia su un basamento di tre gradini, inoltre le statue ed i fregi che lo decoravano si trovano oggi nel Museo dell'Acropoli e nel Museo Archeologico Nazionale. Il Partenone ospitava il grande capolavoro fidiano: la gigantesca statua crisu-elefantina di Athena Partenos. La statua, scolpita nel 438 a.C, era alta 12 metri ed era costituita da uno scheletro ligneo ricoperto da piccole lamine di oro e di avorio. La dea indossava il peplo e l'elmo, ed aveva in mano uno scudo e una piccola vittoria alata.
L'importanza del Partenone è indissolubilmente legata al perfetto equilibrio fra le sue parti, ottenuto grazie alla celebre sezione aurea, che garantisce un ideale rapporto con la divinità.
Respirare quel profumo di antichità, camminare fra quei monumenti grandiosi e immergersi nella cultura filosofica, consente a ciascuno di noi di estraniarsi dal mondo terreno e ritrovarsi alle origini di una civiltà ormai passata.

Potrebbe esistere l’Unione Europea senza l’Euro?

Euro ed Europa: stessa radice uguale significato

di
Tony Anania
Enea Miraglia

Lunedì 14 aprile 2014 presso la sala conferenze della Gazzetta del Sud si è tenuto l’incontro conclusivo del ciclo di conferenze organizzate dal giornale con a tema l’Unione Europea. Ospite d’eccezione è stato il prof. Pietro Navarra, rettore dell’Università degli Studi di Messina nonché docente di economia. Tema dell’ultimo dibattito è stato proprio l’aspetto economico dell’Unione tra i paesi europei, un aspetto finora accennato negli incontri precedenti dove maggiore attenzione è stata posta al problema dell’integrazione e della cultura nell’Eurozona. 

Relatore della giornata è stato ancora una volta il giornalista Lino Morgante, direttore editoriale della Gazzetta del Sud; era presente anche il collega Pietro Orteca. Il ruolo predominante all’interno della giornata è stato, ovviamente, occupato dal Magnifico rettore Navarra, che proprio in veste di economista, ancor più di rappresentante istituzionale dell’Università messinese, ha tenuto una vera e propria lectio magistralis, dove non ha mancato di sottolineare gli aspetti positivi dell’unione economica europea, evidenziando  anche le problematiche sorte dall’unione monetaria nei vari stati della zona. L’introduzione della moneta unica europea (Euro) ha portato notevoli vantaggi nelle economie nazionali già da un primo momento, perché ha obbligato gli Stati a raggiungere degli standard economici prefissati che in un certo senso sono riusciti a stabilizzare il bilancio e il deficit pubblico di ogni nazione, desiderosa di entrare nella zona Euro. Oltre questo aspetto iniziale, il rettore ha voluto concentrare la sua attenzione sul fatto che il valore delle monete nazionali, prima del cambio della moneta, all’estero non avrebbe mai potuto raggiungere il valore attuale dell’Euro che tecnicamente ricopre il ruolo di moneta più forte al mondo. L’Euro, infatti, ha permesso una fortificazione dell’economia europea nei mercati finanziari mondiali, riuscendo a sottrarre sempre di più la leadership al dollaro americano. Non a caso, infatti, ha dichiarato il rettore, le maggiori critiche all’unione monetaria europea non vengono poste da economisti e politici europei, ma da importanti analisti americani, sempre più timorosi della crescente forze europea. Questo è il caso dell’autorevole premio Nobel Paul  Krugman, che, nell’essere critico verso l’Euro, è palesemente mosso dalla difesa dell’economia americana. Tralasciando gli aspetti tecnicisti della vicenda, il prof. Navarra ha voluto anche fare notare che la moneta europea rappresenta un importantissimo fattore di integrazione europea, che insieme a molti elementi concorre alla creazione di una forte identità dei cittadini dell’unione. Nella discussione si è anche fatto riferimento alla BCE, la banca centrale europea, attualmente gestita dall’ex governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, elemento controverso tra le varie istituzioni europee, più volte infatti oggetto di critiche da parte degli Stati membri dalle economie più piccole, sorpassate nei tavoli decisionali da paesi economicamente più forti come la Germania. Proprio da questo problema si è passato a parlare di quelle che sono le negatività scaturite dall’introduzione dell’Euro nei singoli Paesi, come in Italia dove la classe politica non è riuscita ad imporre un cambio favorevole e una riconversione giusta degli stipendi pubblici e privati. Negatività, quest’ultima, che, secondo il rettore, è da imputare alla dirigenza nazionale e non alla tecnocrazia europea.  Sentendo tali argomentazioni il giornalista Orteca è intervenuto nella discussione, sfiduciando con il massimo rispetto intellettuale il prof. Navarra e la sua difesa dell’Europa. In un dibattito, d’altronde, deve esserci anche questo, così all’europeismo chiaro e sincero del relatore principale si è opposto l’euroscetticismo del giornalista, convinto del danno creato, specialmente nell’economia italiana e greca, dall’Euro. Ad ognuno spettano le sue valutazioni, ma appare innegabile che il progresso di ogni singolo Stato non possa prescindere dall’Europa, una cui forte identità potrebbe rendere il Vecchio continente l’ America del futuro. Il giudizio finale spetta comunque sia alla storia. Ai posteri l’ardua sentenza.

Alla ricerca di una nuova Europa

di
Giuseppe Nastasi


Negli ultimi anni si è accresciuto il malcontento della popolazione nei confronti dell’Unione Europea. Quest’insoddisfazione emerge dal fatidico gesto compiuto dalla regione Veneto che, attraverso un referendum, ha decretato la volontà di uscire dall’Euro. Ovviamente l’Europa non rimane impassibile di fronte a questa situazione e si sta impegnando a sensibilizzare la cittadinanza degli Stati membri attraverso i mezzi di comunicazione. In questi giorni, infatti, è facile vedere spot pubblicitari che evidenziano brillantemente i tanti aspetti positivi dell’UE. La propaganda volta a sensibilizzare gli studenti a credere nella Comunità Europea, in particolare, è giunta anche nelle scuole.
Alcuni studenti dell’Istituto di istruzione superiore G.B. Impallomeni di Milazzo sono stati scelti per la partecipazione ad un convegno, che ha per tema la strategia Europa 2020. Ma di cosa si tratta? Europa 2020 è la strategia decennale per la crescita sviluppata dall’Unione europea. Essa non mira soltanto a uscire dalla crisi che continua ad affliggere l’economia di molti paesi, ma vuole anche colmare le lacune del nostro modello di crescita e creare le condizioni per un diverso tipo di sviluppo economico, più intelligente, sostenibile e solidale. Dunque gli obiettivi di questa strategia politica non sono solo l’economia e l’amministrazione pubblica, ma anche l’istruzione, la ricerca, l’energia e soprattutto il lavoro e l’occupazione giovanile. Per quanto riguarda l’istruzione, gli obiettivi principali sono: riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce al di sotto del 10% e l’aumento dei laureati al 40% nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 34 anni. Nel campo dell’energia lo scopo principale è la riduzione delle emissioni di gas serra del 20%. Quest’ultima manovra, tanto azzardata – basti pensare al fatto che contraddice gli interessi delle grandi aziende petrolifere – quanto quasi irrealizzabile, per la portata delle aspettative, potrebbe condurre alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica qualora le condizioni lo permettano.
In merito alle conseguenze di Europa 2020 sulla società, è stata data maggiore attenzione all’occupazione giovanile e alla diminuzione della disoccupazione. In particolare, la prima mossa attuata è l’abbassamento dell’età pensionabile, in modo che il tasso di occupazione accresca fino al 75% nella fascia d’età compresa tra i 20 e i 64 anni. L’incalzante processo di digitalizzazione porterà ad una revisione delle competenze di ogni impiegato al fine di dotare il personale di qualifiche necessarie per le professioni di oggi e domani e migliorare la qualità degli impieghi garantendo migliori condizioni di lavoro.
Come si evince, dunque, da queste strategie politiche, l’Europa non rimane inerte di fronte alla crisi e alle difficoltà derivanti da essa, ma si impegna a porre rimedio alle lacune delle istituzioni politiche e sociali.  


                                                                                         


La Vergine delle rocce: il capolavoro leonardesco?


di
Elisa Miceli
Gabriella Spadaro




Nel XVI sec. a Firenze si registrò un soprassalto di vitalità artistica, grazie alla presenza di quegli artisti eclettici - quali  Raffaello Sanzio, Michelangelo Bonarroti e Leonardo Da Vinci - che eccellevano in tutte le arti figurative. 
Il più anziano di essi, Leonardo Da Vinci, formatosi presso la bottega del Verrocchio, viene considerato un autentico genio: la sua attività artistica si accompagnò sempre a una costante speculazione teorica che investiva una pluralità di ambiti, dall'anatomia alla botanica, dall'ottica alla meccanica e alla matematica.
Gli elementi fondati della pittura di Leonardo sono: 
-la resa verosimile dei corpi, che appaiono dotati di fiato ed anima; 
-la tecnica dello sfumato, che permetteva di dare un'alta definizione a corpi ed espressioni;
-la prospettiva aerea, ottenuta sfumando gli elementi in  lontananza, e la prospettiva a volo d'uccello che prevedeva un punto di vista particolarmente rialzato;
- infine, l'andamento piramidale e l'avvitamento dei corpi intorno al proprio asse.
La fama dell'artista è legata al mistero che aleggia intorno alle sue opere.


La tavola che venne maggiormente criticata per la sua difficile interpretazione è la famosa Vergine delle rocce, commissionata dalla Confraternita dell'Immacolata Concezione e attualmente al Museo del Louvre. Secondo il contratto, il dipinto avrebbe dovuto rappresentare la Madonna col Bambino tra angeli e due profeti, ma Leonardo non rispettò le indicazioni. Il tema ripreso dall'artista è quello dei Vangeli apocrifi: mentre la Vergine e Giuseppe fuggivano in Egitto con Gesù  dalla strage di Erode, trovarono momentaneo rifugio in una grotta del Sinai, dove avvenne un primo miracoloso incontro tra il Cristo e Giovanni Battista.
I personaggi che affollano la scena sono quattro: la Madonna è leggermente piegata in avanti e se ne sta al centro della tavola mentre cinge col braccio destro San Giovannino, coprendolo con il suo mantello in segno di protezione. Contemporaneamente mette la mano sinistra sul Bambino che benedice il Santo, che a sua volta risponde protendendosi verso di lui in un gesto di preghiera. Questo crea un singolare intreccio di sguardi e gesti che permette ai personaggi di interagire tra di loro e con lo spettatore. L'angelo, posto sulla destra, chiude la composizione (che presenta un andamento piramidale), indicando con un gesto molto misterioso San Giovannino, che presenta una posizione di avvitamento e, contemporaneamente, rivolge uno sguardo enigmatico allo spettatore invitandolo a partecipare.
Nel dipinto appaiono tre diverse fonti luminose, una davanti alla scena e le altre, più deboli, sullo sfondo: la prima illumina le quattro figure, mentre le luci penetrano debolmente dalle aperture in fondo alla grotta.
Leonardo sosteneva che la luce è presente in gradi diversi in tutte le particelle dell'atmosfera, pertanto, volendo creare un effetto naturale tramite la tecnica pittorica dello sfumato, egli capì che una sola fonte di illuminazione nel dipinto avrebbe creato contrasti troppo netti: di conseguenza, ponendo una o più fonti di illuminazione, intendeva ricreare, con leggeri mutamenti verso toni più chiari o più scuri, le stesse variazioni di luminosità che avvertiamo guardando un paesaggio reale.
I corpi umani non sono isolati in forme definite e circoscritte, ma si fondono con l' ambiente circostante: i colori delle vesti di Maria e dell'angelo, infatti, sono uguali al blu delle acque e al marrone bronzo delle rocce; mentre il rossiccio dei capelli è della stessa tonalità delle pietre e il luminoso incarnato non è altro che una versione più chiara del colore dominante dello scenario.
L'opera è il trionfo del chiaroscuro: Leonardo Da Vinci evita di contrapporre in maniera evidente le ombre e le zone in luce, scarta i colori troppo brillanti e intensi e preferisce rendere con dolcezza le penombre, le zone grige e gli sfumati con una tecnica che punta allo sfumato, all'equilibrio fisico e psicologico e al naturalismo.
La Vergine delle rocce è stata un'opera molto criticata, a causa dell'assenza delle aureole e della difficile lettura; per questo motivo ne venne fatta una copia dallo stesso Leonardo con gli aiuti di bottega. La riproduzione appare di una più facile lettura; presenta personaggi più vicini, colori metallici e l'assenza della gestualità dell'angelo che presenta ali più chiare e ben definite, mentre San Giovannino ha in mano una croce. 
La tavola ha chiaramente una funzione devozionale; l'interno della grotta incontaminata è simbolo del mistero dell'Immacolata Concezione, mentre la presenza di San Giovanni fanciullo non trova riscontro nelle Sacre Scritture ma, a partire da Rinascimento, ma viene inserita in questa scena quando la Chiesa che deve ospitare il dipinto è a lui intitolata.  
Leonardo anche in quest'opera esprime tutto il suo genio: gli effetti coloristici, lo studio dei corpi e della luce e le espressioni dei volti dei personaggi rendono la "Vergine delle rocce" un capolavoro senza tempo.


mercoledì 16 aprile 2014

Cento anni...e non sentirli!

Buon compleanno Nonno Salvatore!

 di
 Mariaserena Di Giovanni
 Noemi Capasso

Salvatore Andaloro
Il segreto della sua longevità è la sua dose quotidiana di peperoncino rosso. Questo è quanto racconta Salvatore Andaloro, che la settimana scorsa, nella giornata del 3 Aprile, ha festeggiato il suo centesimo compleanno. Nonostante la veneranda età, il nonno è ancora lucido e in ottima salute.
Terzo di otto figli, ha vissuto durante il primo dopoguerra, ed è stato nei territori di Pola e Istria come bersagliere nella seconda guerra mondiale. Ha sempre lavorato col pensiero rivolto alle sue due figlie, tanto da affrontare trasferte in diversi territori italiani, per poi ritornare definitivamente a Milazzo, dove ha contribuito all'apertura della Raffineria.  
Il festeggiato con le figlie,
tra l'assessore Stefania Scolaro e il sindaco Carmelo Pino
Oggi, l'arzillo vecchietto, trascorre le sue giornate nella tranquillità della sua casa in campagna, accudito dalla famiglia.
Ai festeggiamenti hanno partecipato anche l'assessore Stefania Scolaro e il sindaco Carmelo Pino, che ha consegnato la medaglia ricordo a Salvatore Andaloro.
Dopo la Santa Messa, celebrata nella Chiesa Santa Maria delle Grazie da padre Antonio Costantino, le figlie, i nipoti e i parenti si sono ritrovati insieme al nonnino per il taglio della torta con le cento candeline.


martedì 15 aprile 2014

Intervista alla dirigente dell’IIS “G.B.Impallomeni” Caterina Nicosia

“Niente cultura, niente futuro”

di 
Mariaserena Di Giovanni 
Noemi Capasso
Francesco Zullo
Giuseppe Nastasi



                 
Da tre anni Caterina Nicosia dirige l’Istituto di Istruzione Superiore Impallomeni, scuola di grande prestigio culturale non solo nella città di Milazzo, ma anche in tutta la provincia, nata nel 1998 dalla fusione dell'omonimo Liceo Ginnasio Statale con il Liceo Scientifico "Meucci". 
Fermamente convinta del valore inestimabile della cultura come elemento necessario per la formazione umana e professionale di ciascun individuo, Caterina Nicosia non è solo dirigente scolastico, ma anche docente e soprattutto educatrice. Queste semplici parole costituiscono l'immediato biglietto da visita di una donna al servizio di un'istituzione tanto importante quanto decadente, quale la scuola italiana. Dirigente scolastico, in quanto amministratrice dell'Istituto di Istruzione Superiore G.B. Impallomeni di Milazzo, docente, perché insegnante di lingua inglese, educatrice, perché portatrice di sani principi morali per i ragazzi e punto di riferimento per i docenti.

Da quando è alla guida di questo istituto ha promosso numerosi progetti extracurriculari, stage e viaggi di istruzione. Quali sono le iniziative che intende portare avanti per il futuro?
La dirigente, Prof. Caterina Nicosia
“In questi anni abbiamo promosso innumerevoli progetti, che hanno consentito ai nostri ragazzi di partecipare a varie iniziative, dalle “Olimpiadi nazionali della Cultura”, ai giochi matematici all’Università Bocconi di Milano, dal progetto “Gazzetta del Sud per l’Europa” al premio di poesia “Salvatore Quasimodo”, per finire con i Pon finalizzati al consolidamento delle conoscenze della lingua italiana, dell’informatica e delle lingue straniere.
In quest’anno scolastico abbiamo realizzato stage linguistici e gite di istruzione molto interessanti. Ai nostri studenti è stata offerta la grande opportunità di recarsi a Malta per potenziare e consolidare la conversazione in lingua inglese, frequentando una scuola prestigiosa come l’ILS (International Language School). Questo stage dà ai ragazzi anche la possibilità di partecipare, al termine del percorso e previo il superamento di alcuni test finali, ad un successivo soggiorno a Malta, in cui sarà possibile approfondire ulteriormente lo studio della lingua inglese. Inoltre, intendiamo avviare un progetto di scambio di classe con una scuola inglese interessata ad approfondire il nostro metodo di studio per l’apprendimento del latino e del greco.
Altamente formativo per i ragazzi è stato anche il viaggio di istruzione in Grecia, che sicuramente ripeteremo anche nei prossimi anni ripristinando una vecchia usanza del nostro liceo.
Notevole successo ha riscosso pure tra gli studenti il progetto “Vivi la montagna”, che abbiamo intrapreso per il primo biennio e che intendiamo istituzionalizzare. Si tratta di un’attività molto riuscita, grazie soprattutto alla professionalità degli istruttori e del personale interessato e ad un ambiente accogliente e familiare. Attraverso questo progetto, anche i ragazzi che non hanno mai avuto esperienza in questi sport (sci, basket e pattinaggio su ghiaccio), in breve tempo, sono riusciti ad acquisire ottime competenze e abilità. Stiamo, inoltre, portando avanti il progetto di digitalizzazione della scuola anche attraverso l’utilizzo dei tablet.
Come ho già detto, numerose sono, infine, le iniziative a cui abbiamo aderito. Siamo, infatti, l’unica scuola di Milazzo che ha partecipato al progetto “Gazzetta del Sud per l’Europa”. Negli anni precedenti gli studenti del nostro liceo si sono classificati nei primi posti e questo ci ha dato la possibilità di andare in Germania. Di recente, inoltre, abbiamo ricevuto una nota di encomio da parte dell’Università Bocconi di Milano per i ragazzi del Liceo Scientifico, che hanno partecipato ai giochi matematici. Infine, nelle “Olimpiadi della cultura” ci siamo classificati al terzo posto su 180 iscritti alle semifinali regionali, accedendo così alle finali nazionali.
Per il futuro, intendiamo proseguire su questa scia, promuovendo tutto quanto possa essere utile alla crescita umana e culturale dei ragazzi”.

In che modo intende orientare gli studenti che sono in procinto di affacciarsi al mondo universitario e in genere al mondo degli adulti?
“Dopo aver vagliato tutte le proposte che mi sono state avanzate da docenti e non, ho deciso di rendere il nostro liceo una scuola facente parte del polo CESPED (Centro Studi Pedagogici e Didattici), che si occupa della formazione degli studenti in procinto di affrontare gli esami universitari. Per questo abbiamo stipulato una convenzione tra il CESPED e la nostra scuola, che garantirà agli alunni degli ultimi due anni di liceo una preparazione adeguata, grazie alla professionalità dei docenti del centro, diretti, tra l’altro, da un ispettore del Miur”.

Spesso si dice che il Latino e il Greco siano due lingue morte, il cui studio nella società attuale, moderna e tecnologica, risulta addirittura inutile. In realtà, però, la cultura classica è oggi più che mai viva ed attuale. Attraverso quali strumenti e quali iniziative pensa che si possa mantenere vivo nel nostro istituto lo studio delle lingue classiche?
“Lo studio delle lingue classiche, prima di tutto, è necessario per acquisire, attraverso  uno sguardo sull'antichità, la consapevolezza della differenza tra il mondo antico e il nostro mondo. Inoltre, tradurre il greco e il latino rappresenta una palestra per la mente, che prevede un allenamento
utile a conquistare quell’elasticità necessaria ad affrontare qualsiasi prova logica. Consapevoli di ciò, già dall’anno scorso, abbiamo avviato al biennio del Liceo Classico lo studio del latino parlato con l’aiuto delle professoresse Cicero e Campagna. Per il futuro, speriamo di poter introdurre anche lo stesso metodo per il greco antico. Inoltre, per gli studenti delle classi che si accingono ad adottare questo tipo di studio stiamo proponendo uno stage di 5 giorni all’Accademia “Vivarium Novum” del professore Miraglia”.

La scuola necessita di numerosi interventi di manutenzione,  che la Provincia non riesce ad effettuare per mancanza di fondi. Quali misure si potrebbero adottare per risolvere questo problema?
“Pochi giorni fa ho incontrato un rappresentante della Provincia regionale di Messina, il quale mi ha promesso che, a breve, saranno avviati alcuni interventi di manutenzione. Si tratta di un primo passo in avanti, che, tuttavia, non sarà sufficiente. A tale proposito, quindi, vorrei lanciare un appello agli studenti, affinché possano destinare i soldi del contributo volontario di 60 euro per questi interventi, visto che lo Stato non fornisce le risorse necessarie e considerato anche che le famiglie potrebbero scaricare tale pagamento dalle tasse. Chiedo, quindi, maggiore sensibilità da parte di tutti gli alunni in modo tale da poter instaurare un rapporto di collaborazione tra la scuola e la famiglia, tramite un aiuto reciproco. In questa scuola lavoriamo tutti in sinergia per risolvere problemi e difficoltà. Il dialogo con gli studenti è, infatti, fondamentale sia per la crescita del singolo individuo che per la crescita collettiva. Nello stesso tempo, dirigente e docenti possono imparare molto anche dagli alunni. Per questo, sono disponibile ad accogliere dai ragazzi qualsiasi osservazione, positiva o negativa che possa essere, e qualsiasi proposta”.

La scuola in questi ultimi tempi sta attraversando un momento difficile. Lei ritiene che sarà in grado di rinascere dalle sue ceneri più valida di prima o continuerà a sopravvivere in questa condizione di precarietà?
“Il periodo che la scuola sta attraversando non è proprio positivo, ma occorre pensare che essa non può morire, perché non se ne può fare a meno. Nonostante spesso si pensi che i politici lavorino per la sua decadenza, con il passare del tempo sarà l’opinione pubblica, in particolare gli stessi giovani, a combattere per avere una scuola migliore”.

Al termine di questa intervista, se dovesse lasciare un messaggio ai suoi giovani studenti, cosa vorrebbe dire?
“Prendendo spunto da un’intervista rilasciata al Sole 24 ore da Nuccio Ordine, filosofo italiano e docente, nonché autore del libro “L’utilità dell’inutile”, vi raccomando di non farvi contagiare dall’ignoranza diffusa, che considera inutile non solo la ricerca e il sapere disinteressato, ma anche le istituzioni che lo incarnano, credendo che sia utile solo ciò che determina un profitto immediato. Spesso non comprendiamo che sia la letteratura e i saperi umanistici che la cultura e l’istruzione sono il terreno fertile in cui le idee di democrazia, giustizia, libertà, diritto di critica, tolleranza e solidarietà possono trovare sviluppo. Anche sul piano della crescita individuale, utile è ciò che ci aiuta a diventare migliori. Perciò vi consiglio di fare tesoro delle ore trascorse sui banchi di scuola e di apprendere il più possibile, perché se non c’è cultura non c’è futuro”.

sabato 12 aprile 2014

Ratzinger e Bergoglio: due papi a confronto

di
Enea Miraglia

Duecentosessantacinque sono gli uomini che si sono succeduti sul soglio di Pietro. Ognuno di loro nell'eseguire il duro mandato, affidatogli dai principi della Chiesa sotto ispirazione dello Spirito Santo, ha sicuramente introdotto novità o riportato in vita tradizioni, ma nel farlo ha incondizionatamente seguito un disegno superiore, che gli uomini difficilmente possono capire o che comunque riescono a comprendere solo dopo secoli di storia. Bonifacio VIII e Celestino V, Pio IX e Pio X, Benedetto XVI e Francesco. Storie di uomini, di papi e di pontificati all'apparenza diametralmente opposti, ma entrambi pienamente legittimati dall'elezione canonica. Certamente, gli stessi pontefici hanno negato l'ispirazione divina dell'opera di Bonifacio VIII, per esempio, ma non è questo l'articolo giusto per parlarne. Soffermiamo l'attenzione su due personaggi più attuali e sicuramente meno controversi: Benedetto e Francesco. 
Il primo etichettato come un tradizionalista dalle scarpette rosse, un uomo autoreferenziale alla Chiesa come istituzione, un teologo poco pragmatico e lontano dalla gente. Il secondo definito difensore dei poveri, modernista, un padre vicino alla gente, anzi un pastore che "puzza dell'odore delle pecore". Ma chi siamo noi per giudicare? Chi siamo noi per dire quale tra i due abbia fatto meglio per la Chiesa? Eppure sempre più spesso ci troviamo davanti a frasi come “Francesco è la luce dopo le tenebre di Benedetto”, che fanno male non a Ratzinger o a Bergoglio (o ai rispettivi sostenitori), ma alla Chiesa stessa. Il cammino della Chiesa è uno ed è inconcepibile, senza riflettere sul fatto che ogni evento è frutto di quello precedente e serve allo sviluppo dell'altro. Benedetto XVI, il papa teologo, non è altro che la conseguenza di un pontificato ventennale in cui la Chiesa è uscita fuori dalle sue mura per portare la novella di Cristo al mondo, esponendosi in un circolo mediatico, prolifico per le anime, ma talvolta dannoso per la dottrina. Benedetto XVI è stato il papa che ha dovuto raccogliere l'eredità di un uomo straordinario che ha “sdoganato” la figura del pontefice, per renderla quella di un uomo comune al servizio dei suoi amati fratelli e sorelle. Uno sdoganamento lodevole, che ha concorso alla sua santità, ma che, se ancora portato avanti, avrebbe potuto compromettere la stabilità e l'autorità di quello che pur sempre è e rimane il successore del Principe degli Apostoli, vicario di Cristo in terra e difensore estremo della Chiesa. Eppure il pregiudizio verso di lui si è notato subito. Già si è visto sin dall'inizio, quando il cardinale protodiacono dopo l'Habemus papam, al momento di dire il nome assunto dal nuovo papa disse “Benedictum” ed i giornalisti lo etichettarono come un nome prettamente aristocratico. Così non è stato il 13 marzo 2013, quando il cardinale protodiacono, pronunciando la stessa frase, la concluse con il nome “Franciscum” ed ecco che gli stessi giornalisti lo definirono il papa povero per i poveri.
L'aneddoto racchiude una grande verità: spesso si crea l'immagine di una persona senza studiarla e senza conoscerla, basandosi solo su una piccola impressione, sia essa la croce d'oro e quella d'argento o il nome aristocratico e quello povero. E' innegabile che tra i due esista una differenza, ma la differenza è di metodo non di contenuti. E' vero che Ratzinger non abbia disdegnato l'uso delle vesti papali più solenni, mentre Bergoglio si accontenta della semplice talare bianca, è vero che Ratzinger abbia preferito, da teologo e grande studioso, esprimersi anche in maniera brutale sulle questioni più controverse a cui la Chiesa è chiamata a rispondere, mentre Bergoglio preferisce avere il volto più tenero dell'uomo buono disponibile al confronto, ma è anche vero che i due modi di porsi indicano due modi diversi di essere. Allo stesso tempo è assolutamente irreale pensare che queste differenze si concretizzino in un modo di gestire diverso della madre Chiesa. Francesco in questo si colloca in perfetta continuità con Benedetto, lo si vede dai documenti che pubblica, tra cui uno che riceve dallo stesso Papa emerito, lo si vede dalla mancanza di dinieghi delle azioni del suo predecessore, ma soprattutto lo si vede da come parla di colui che definisce come "il nonno saggio che distribuisce consigli azzeccati per ogni cosa". Sono solo due persone diverse, nate da contesti diversi, formate da una cultura diversa, e con un percorso personale anch'esso divergente. Da un lato Joseph, uomo tedesco chino sui libri e amante dello studio teologico, sacerdote di curia, arcivescovo per breve tempo incompreso dal suo gregge, cardinale prefetto dell'ex Inquisizione, custode dei dogmi ecclesiali sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Dall'altro Jorge Mario, ridente italo-americano, amante della compagnia, sacerdote gesuita delle parrocchie più povere del suo paese, pastore di Buenos Aires. Le loro sono due vite diverse, ma accomunate da alcuni punti: la vocazione, la totale fiducia in Dio e l'elezione al soglio di Pietro. Elezione quest'ultima che non può e non deve cambiare l'intero percorso di vita, ma che anzi da questo deve trovare arricchimento.

Siamo tutti in Mondovisione!

di
Isabella Giorgianni
Floriana Mannino


«Mi procuro una frattura durante un concerto e 2 minuti dopo può vedere la caduta un mio amico di Los Angeles. È ufficiale: siamo tutti in mondovisione. Mondovisione però è anche la "visione di un mondo"». Sono queste le parole con cui Luciano Ligabue commenta il titolo del suo nuovo disco. Si tratta del suo decimo album in studio, uscito il 26 novembre 2013 a distanza di oltre tre anni dal precedente "Arrivederci, mostro!.." 
L'album è stato anticipato il 5 settembre 2013 dal singolo "Il sale della Terra", presentato poi dal vivo nei concerti che il cantautore ha tenuto all'Arena di Verona il 16, 17, 19, 20, 22 e 23 settembre 2013. Il disco, composto da 14 tracce inedite, è stato prodotto, per la prima volta, da Luciano Luisi, membro della band che dal 2008 accompagna Ligabue in tour. «In un mondo che corre così veloce - afferma Luisi - il pubblico dimentica tante cose, ma ricorda i testi di ogni canzone a memoria, per questo il potere della musica è ancora enorme, così grande che a volte mi sembra di avere addosso troppa responsabilità». Il 25 novembre 2013 esce il secondo singolo accompagnato dal video "Tu sei lei", a cui segue il 10 febbraio 2014 il terzo singolo "Per sempre". « E' il mio disco con la lavorazione più lunga - spiega il cantante - Anche se sono libero di dire quello che voglio, ci sono filtri che ho imposto a me stesso. Non voglio trasferire in chi mi ascolta la rabbia che ho addosso, non a caso la copertina dell'album è una cartina della Terra accartocciata su se stessa, la rappresentazione di un mondo che non esprime molto ottimismo». La copertina del disco, come per il precedente, è stata realizzata da Paolo De Francesco.
Nella sua prima settimana di rilevazione, la FIMI certifica l'album disco di platino per le oltre 60.000 copie vendute; la settimana successiva l'album raggiunge le 120.000 copie FIMI, diventando doppio disco di platino; dopo un mese l'album arriva a 240.000 copie FIMI e si aggiudica il quarto disco di platino FIMI. Il 28 gennaio 2014 viene annunciato il quinto disco di platino.
L'album è composto da quattordici tracce più un bonus per chi ha pre-ordinato l'album su iTunes. Ecco i brani:
Il muro del suono - 4:29
Siamo chi siamo - 4:15
Il volume delle tue bugie - 4:09
La neve se ne frega - 3:31
Il sale della Terra - 3:56
Capo Spartivento - 0:48
Tu sei lei - 4:22
Nati per vivere (adesso e qui) - 3:50
La terra trema, amore mio - 4:01
Per sempre - 3:55
Ciò che rimane di noi - 4:42
Il suono, il brutto e il cattivo - 0:41
Con la scusa del rock ‘n’ roll - 3:26
Sono sempre i sogni a dare forma al mondo - 4:33
Il sale della Terra (in acustico) - 4:09 (solo per chi ha pre-ordinato l'album su iTunes)

"Il sale della terra", primo singolo tratto dall'album, è dedicato alla crisi globale. Ligabue cita, fin dal titolo, il Vangelo di Matteo: «Voi siete il sale della terra, ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli si renderà il sapore?». In questo brano si condanna la crisi sociale e il comportamento degli uomini di potere.

Per quanto riguarda il singolo "Tu sei lei", Ligabue ha dedicato questa canzone alle donne, soprattutto alla sua compagna Barbara, infatti la canzone è stata simbolicamente pubblicata nel giorno ufficiale contro la violenza sulle donne e si è trovata al quarto posto nella classifica della settimana dal 17 al 23 marzo 2014.
Nell'album, ovviamente, non manca l'amore di chi è deluso, che traspare nel singolo "Il volume delle tue bugie" e neanche quello profondo verso le persone care come i genitori nel brano "Per sempre".
Ligabue vuole, inoltre, raccontare il dramma del terremoto che ha sconvolto l'Emilia nel 2012 e nel singolo "La terra trema, amore mio" evidenzia non tanto il dolore di chi perde la propria casa, ma piuttosto l'importanza di una "ricostruzione esistenziale" delle vittime.
Il cantante, però, indica a suo modo la strada verso la ripresa, come si può notare in "Sono sempre i sogni a dare forma al mondo" che chiude l'album.
A tale proposito Ligabue, cercando di trasmettere ai suoi fan un pò di speranza afferma: «Sognare, oggi più che mai, è decisivo». 



La bellezza di Roma attraverso il cinema

di
Aurora D'Amico

Parigi ha l'eleganza, Londra ha il prestigio, Milano ha la sobrietà.... Ma Roma ha l'Umanità e la Storia del nostro popolo.

"Luigi Magni"

Capita di leggere fiumi di parole su Roma, ma non se ne coglie mai la vera essenza. Questo è in sintesi il pensiero  del re del cinema romano Luigi Magni, il personaggio attualmente più rappresentativo della romanità dopo Petrolini, Alberto Sordi, Anna Magnani, Gabriella Ferri, la Lupa e Romolo. Egli è il regista di “Scipione detto anche l’Africano”, “La Tosca”, “Nell’anno del Signore”, “In nome del papa re”, “In nome del popolo sovrano” e di tanti altri film che hanno fatto la fortuna dei produttori, suscitando non solo apprezzamenti, ma anche non poche polemiche.
La Roma di una volta è come un affresco fatto di tante parole, con tratti rapidi ed essenziali, in cui spesso i particolari resi con precisione danno il senso, la differenza e la carnalità della rappresentazione.
Sfogliando le prime pellicole cinematografiche romane, possiamo trovare tantissime informazioni, anche inedite, che suscitano interesse e intense emozioni a noi spettatori.
"Alberto Sordi" nel backstage di un suo film
Nel 1870 la città diventa capitale. Con il trasferimento dei toscani e dei piemontesi, ha inizio lo scempio edilizio e la mutilazione dell’identità culturale della città.  Furono, infatti, costruiti interi quartieri, come l’Esquilino, il Celio e Prati.
Ciò comportò molteplici disagi, ma soprattutto la scomparsa di zone e monumenti meravigliosi, come il quartiere di Aracoeli, distrutto per costruire il monumento a Vittorio Emanuele II, il Porto di Ripetta e la spiaggia del Tevere. Prima della costruzione dei muraglioni, sulle rive del fiume c’era la sabbia, che cambiava colore a seconda della luce del sole. Questo stravolgimento ha causato la scomparsa dei veri romani e la nascita di una nuova cultura, che non ha aiutato alla sopravvivenza dell’identità di Roma.
Come è stato sottolineato, la storia della capitale italiana si ricostruisce anche attraverso la filmografia. In quest’ambito ricordiamo sicuramente i due fratelli Ruggero e Marcello Mastroianni. In particolare,  il primo fu maestro insuperabile nel montaggio cinematografico. Tutti questi personaggi sono stati a livello artistico ed industriale i protagonisti della cinematografia nazionale dal dopoguerra ai nostri giorni. Interessante è anche una sorta di giro turistico per l’antica capitale, che è presente in gran parte di queste pellicole, e in cui ogni spettatore si può proiettare temporaneamente. Dunque, sono molti i film girati nella capitale, nei quali possiamo trovare la sua storia. Guardando queste pellicole si può vedere Roma in ogni sua sfumatura e in ogni sua angolazione. Tra Roma ed il cinema c'è stato sempre come un amore a prima vista, in cui si fondono due caratteri fondamentali: quello antico di Roma e quello innovativo del cinema. Roma ha un passato ricco di storia e di episodi leggendari, i cui monumenti sono conosciuti in tutto il mondo e i cui attori si sono distinti per la loro amabilità e spontaneità. Il cinema, da parte sua, ha contribuito ad aumentare la fama di Roma, mostrandone in un numero indefinito di pellicole gli angoli unici e meravigliosi, alcuni dei quali di fama mondiale.
Una scena tratta dal film "La dolce vita"
Emblematica è la scena realizzata nella Fontana di Trevi da Anita Ekberg nel film "La Dolce Vita" di Fellini, o quella sul Colosseo da Alberto Sordi nel film "Un Americano a Roma" di Steno o, anche, quella a Piazza di Spagna da Audrey Hepburn e Gregory Peck nel film "Vacanze romane" di William Wyler. Insomma, Roma resterà per l'eternità la detentrice della "fiamma" della cultura, della storia, dell'umanità, ma anche del cinema.

Il destino del filosofo

di
Pietro Scibilia
Andrea Gitto

"Se si deve filosofare, si deve filosofare e se non si deve filosofare, si deve filosofare; in ogni caso dunque si deve filosofare. Se infatti la filosofia esiste, siamo certamente tenuti a filosofare, dal momento che essa esiste; se invece non esiste, anche in questo caso siamo tenuti a cercare come mai la filosofia non esista, e cercando facciamo filosofia, dal momento che la ricerca è la causa e l'origine della filosofia”.
                Aristotele
 
In questa esortazione al filosofare, sta come non mai il senso dell’occuparsi di tale materia. Ma in un'epoca postmoderna, dove i massimi sistemi teoretici ed ideologici si sono dissolti, dove il mondo progredisce alla stregua del progresso informatico, dove le scienze e le tecniche hanno acquisito un tale grado di maturità tanto da erigersi a vettore direzionato allo sviluppo gnoseologico in qualsiasi campo conoscitivo umano, che posizione occupa il filosofo?
Nel senso comune la figura del filosofo è comparata a quella del disoccupato costretto a svolgere lavori più umili, a causa della carenza di possibili applicazioni pratiche del campo nel mondo lavorativo. Un porto sicuro sembrava essere fino a pochi anni fa il settore scolastico, ormai defraudato di garanzie e mutilato da tagli sempre più esponenziali.
Detto ciò, il filosofo si potrebbe definire una specie autoctona dell’Università: lì prolifera, si stanzia, lotta sino all’ultimo sangue per le poche tane chiamate “Dottorati di Ricerca”, i quali non proteggono sufficientemente dalle intemperie (affitto, bollette, assicurazione), più inespugnabili quelle fortezze, chiamate cattedre, protette dai vari "baroni".

Talune volte migrano, nelle stagioni remunerative, in parterre di giardini lussureggianti di effimera notorietà e d'intellettualoidi in cerca dell'agognata arrampicata sociale, muniti di un'esigua cultura incapace di suggestionare casalinghe di Voghera e scommettitori della domenica.
Oggi il filosofo ha visto il suo ruolo, più di altri, decadere della propria valenza nella società. Darwinianamente il filosofo odierno procaccia il suo sostentamento per mezzo dello spaccio di testi di natura pseudo-filosofica a classi di alunni "prescelte" dei vari istituti pubblici italiani come il miglior mercante del Gran Bazar.
I più socialmente abili, avendo preso possesso del dottorato, o - se prescelti dal fato - la cattedra, possono permettersi di veder pubblicate e distribuite le proprie opere dalla suprema e sempreverde (nonostante le numerose menomazioni subite) istituzione chiamta "Università"; in questo caso, piuttosto che gli studenti, i clienti sono gli universitari: a causa di queste spese alquanto dispendiose, scaturisce in loro un sentimento, una revanche, che li porterà, per sete di vendetta delle sofferenze patite, a tentar di scrivere altre opere, d'egual stampo, generando un circolo vizioso di temi accademici triti e ritriti.
Purtroppo, nell'immaginario collettivo il filosofo è visto in tal modo.
Chi è il filosofo se non chi prova amore verso la conoscenza, ponendosi sempre interrogativi su tutte le tematiche riguardanti il genere umano? Origine, passioni, sviluppo e destino: queste sono soltanto un' infinitesima parte di ciò di cui si è occupata per millenni la filosofia, che adesso sono occupazioni di altri campi di ricerca umana (promossi dalla ricerca filosofica), quali per esempio scienza, economia, linguistica.
I grandi personaggi del XX secolo che hanno rivoluzionato il pensiero filosofico non erano solo filosofi: Wittgenstein era anche un ingegnere, Einstein un fisico, Sartre un letterato, Russel un matematico.
Dato che la ricerca umana volta al suo progresso sembra aver precluso alla filosofia ogni possibilità, come quest'ultima può sopravvivere?
La filosofia deve adattarsi ritornando a svolgere quel compito che sempre l'ha caratterizzata: porsi delle domande.
Al giorno d'oggi la filosofia deve porsi questioni riguardo a tutti gli aspetti della vita: ad esempio l'epistemologia (di cui Popper, oltre che filosofo, è il maggior esponente) che pone questioni riguardo al confine etico della ricerca scientifica; il linguaggio ed il relativo uso per comunicare divengono centro di dibattito filosofico (Noam Chomsky attualmente  è uno dei più grandi esponenti); l'economia è diventata il punto cardine per lo sviluppo sociale.
In conclusione, la filosofia non è una disciplina obsoleta, si è frammentata in molteplici attività, promosse da essa nel corso del tempo e che hanno ormai raggiunto una propria maturità, nonostante conservino, sentendone il bisogno, un'anima filosofica, che interroghi sul progresso umano. Per la sua stessa natura, comunque, la filosofia porterà alla luce nuovi interrogativi, dando vita a nuovi campi ancora in nuce.



martedì 8 aprile 2014

Creare o subire? Breve riflessione sulla moda dei giovani nella società di massa

La moda e i giovani 

Seguire le tendenze o rimanere nell'anonimato?

Sempre più spesso si sente parlare di massificazione degli adolescenti e della mancanza di personalità dovuta all’influenza di mass-media e talk show

di 
Tony Anania
Giada Bellavia 


"Siate giovani, non alla moda. Essere giovani significa aver scoperto le cose che non passano col passare veloce degli anni. Se un giovane scopre i valori veri e grandi, allora non invecchia mai, anche se il corpo segue le sue leggi. Resta giovane sempre nel cuore e irradia giovinezza, cioè bontà". 
Papa Benedetto XVI

Oggi la moda giovanile è caratterizzata sempre più spesso dall’improvvisazione e dall’invenzione creativa, anche se risulta notevole l'influenza dei mass-media, che orientano e, nel contempo, finiscono per omologare scelte e gusti dei teenegers. Rilevante è, inoltre, l'ascendente che esercita, soprattutto sugli adolescenti, il gruppo a cui appartengono, il quale determina nei giovanissimi l’acquisizione di caratteristiche comuni anche nel modo di vestire. Così stilisti, fashion blogger e professionisti emergenti nel mondo della moda sono spinti a ricercare continuamente nuovi stili, che, oltre ad essere adottati dalle generazioni presenti, saranno, a loro volta, imitati da quelle successive. 
Fin dai tempi più antichi l’uomo ha utilizzato forme per vestire il proprio corpo, che, oltre ad avere la funzione di proteggere dai fattori ambientali, intendevano affermare il proprio status ed esprimere la propria personalità mediante un linguaggio di simboli. Indossare degli abiti costituiva, quindi, non solo una necessità, ma una precisa volontà di affermazione della propria identità. Anche oggi l'uomo moderno, attraverso gli indumenti che si mette addosso, opera un processo di “identificazione”, che si riferisce alle figure con le quali si sente simile, condividendo con esse determinate caratteristiche di tipo sociale, artistico, etico, religioso, morale o di pensiero.
Se anticamente la moda rappresentava il simbolo dell’appartenenza ad uno status sociale, basti pensare alla Francia di Luigi XIV e alle grandi corti europee, dove davvero “l’abito faceva il monaco”, con il passare dei secoli, essa ha subito il condizionamento di altri fattori, diventando anche un modo per esprimere sentimenti e valori e per rappresentare simbolicamente battaglie e conquiste sociali. 
A tale proposito, tra gli stilisti più famosi del passato ricordiamo le sorelle Fontana e la grande icona di stile Chanel, che hanno letteralmente rivoluzionato l’abbigliamento femminile. 
Oggi il mondo della moda è influenzato da molti elementi, primi tra tutti l’innovazione, l’accessibilità e la praticità, ma diventa sempre più un mezzo, soprattutto per gli adolescenti, per acquisire certezze e autostima.
Il modo in cui ci si veste, infatti, è utile a molti ragazzi per nascondere paure, insicurezze e disagi. Il mondo degli adolescenti, oltre a sembrare una passerella, spesso assume le sembianze di un palcoscenico adibito ad un concerto rock. Infatti, un cappello con borchie e braccialetti metallizzati riescono a far uscire dal guscio anche i ragazzi più timidi.
Ad orientare i gusti dei giovani non sono solo gli stilisti e i personaggi famosi, ma pure i talkshow, che spesso dettano nuovi modi di comunicare non sempre esemplari, da un uso scorretto della lingua italiana a un linguaggio volgare e scurrile, come quello esibito nei reality show; lanciano, inoltre, mode e tendenze. Gli adolescenti sono condizionati, oltre che dal mondo televisivo delle modelle e dei reality, anche da quello dei blogger e delle patinate copertine di alcune riviste di moda, che mettono in primo piano modelle e modelli con fisici statuari. 
Ma spesso pancia piatta e taglia 36 costituiscono l'anticamera del tunnel dei disturbi alimentari, come la bulimia e l'anoressia, che rappresentano solo l’inizio di una serie di problemi da non sottovalutare, quali la depressione, la chiusura in se stessi, l’agorafobia ed, infine, nei casi più estremi, la morte. Per fortuna le mode, essendo passeggere, come volubili sono gli animi degli uomini, decadono in fretta sostituite da nuovi stili e modi di essere.


Potere e morte

Sgomento e incredulità nel popolo romano


"Vere Caesar mortuus est"

Cesare è morto, vittima di un complotto organizzato dal suo stesso figlio adottivo e capeggiato da senatori vari e alcuni pretori. Mai l'istituzione del Senato era stata oltraggiata con il sangue

di 
Enea Miraglia

In quante età future questa nostra scena sublime verrà recitata,
 in stati ancora non nati e con accenti ancora sconosciuti" 
Shakespeare
 

Vere Caesar mortuus est”: così si è espresso Antistione, il medico incaricato, secondo la Lex Aquila, dell'autopsia al corpo di Cesare. Sgomento e incredulità sono immediatamente percepibili da queste parole, che segnano il tramonto definitivo dell'epopea di uno dei più grandi condottieri dei nostri tempi. Nessuno si sarebbe mai aspettato di sentire questa frase. Cesare è morto, vittima di un complotto organizzato dal suo stesso figlio adottivo e capeggiato da senatori vari e alcuni pretori.

Mai l'istituzione del Senato era stata oltraggiata con il sangue, ma neanche il rispetto per la domus proprio di tutti i romani ha potuto fermare il desiderio di morte dei crudeli assassini, ognuno dei quali ha voluto infiggere il proprio colpo al corpo di Cesare rivestito dalla candida toga. Mai un giorno di festa, come le Idi di Marzo, è stato offuscato da un sacrilegio tanto grande. Neppure il rispetto verso gli dei ha potuto fermare la brama di sangue degli orridi congiurati. Mai un glorioso sovrano è stato ucciso nell'atto di adempiere le sue funzioni, ma neanche il rispetto dell'operosità umana ha potuto fermare il desiderio di violenza di romani egoisti. Roma oggi non solo ha perso il suo capo, ma soprattutto ha perso la sua libertà e i suoi più cari costumi. La politica si è macchiata di un crimine che non le rende onore, di un crimine che ne dissolve i fondamenti più saldi, di un crimine che la destabilizzerà, mettendo a serio rischio la nostra patria. Ma essa non se ne accorge perché ha gli occhi sbarrati dalla cupidigia del potere, che ad un'analisi superficiale e poco obiettiva sembrava essergli tolto da Cesare. Proprio Cesare, quell'uomo che, con virtù e coraggio, riuscì a conquistare il potere per metterlo al servizio del popolo romano. Cesare, lo stesso uomo che ha adottato una nuova politica economica, favorevole allo sviluppo di Roma, che ha varato nuovi provvedimenti nel campo architettonico per la riorganizzazione e l'abbellimento dell'Urbe e che, sotto il nome della dittatura, ha rafforzato la politica estera e l'esercito romano. 
A niente sono serviti per la politica senatoria tutti questi provvedimenti, odiati per essere stati adottati senza la propria autorizzazione. O Zeus, è proprio vero che il potere logora chi non ce l'ha. Lo logora fino al punto di macchiarsi dei crimini più grandi per riottenerlo, senza comprendere che un potere macchiato a nulla serve, se non al male di se stessi. La morte di Cesare è vero che ha ucciso un uomo solo, ma col tempo ne ucciderà molti, prima i suoi esecutori, poi i suoi mandanti, perché essa mai potrà essere accettata senza sgomento dai romani, né giammai dalla storia, la cui pagina odierna è una tra le più buie di sempre. 

lunedì 7 aprile 2014

La moda nel tempo

Il lifestyle influenzato dal fashion-style

                                               
Moda&Modi: il passato influenza il futuro

 
Dagli albori della moda al fashion 2014: le stoffe cambiano, i tagli mutano e i colori si invertono. Così i ragazzi rafforzano il proprio io e riscoprono se stessi

 
di
Simone Mazzeo
 
“La moda passa, lo stile resta!” 
(CocoChanel)

Modo di vivere e la moda nel vivere sembrano raggiungere ogni giorno sempre più le vette della fiera della vanità. Vette scalate a suon di tacchi dalle ragazze e in maniera sempre più chic dai ragazzi. Agli albori della storia della moda durante gli anni '20 e '30 la moda era sicuramente lontana dall’idea che abbiamo oggi: donne timide, che non osavano, gonne lunghe, acconciature scandite da caschetti semplici e anonimi, come anonima era l’immagine che si proponeva di sé. Anonima era anche la presenza dell’immagine maschile nel fashion style. Passando gli anni, passano anche le mode: si evolvono, introducono novità e ne abbandonano le caratteristiche retrò. Ecco che durante gli anni '40 e '50 le gonne cominciano ad accorciarsi, le donne cominciano ad osare e i looks appaiono molto più sbarazzini. Negli anni '60 i tubini si diffondono a macchia d’olio andando a cingere le vite delle donne: nasce l’icona di Marilyn avvolta nel suo tubino bianco etero come eterea è la sua immagine. 
Negli anni '70 i tubini bianchi e neri si fanno da parte per lasciare spazio ai colori, ai fiori e alla vivacità delle stoffe: scoppia la moda hippie. 
Le donne cominciano a indossare i pantaloni, e non solo: dai pantaloni a zampe di elefante agli shorts e agli accessori atipici, ma sicuramente innovativi. Durante gli anni '80 tutto torna ad essere nero ed aggressivo, ricco di borchie. Guantini, gonne con balze di tulle, capelli fuori dagli schemi e trucco più pesante segnalano l’apertura al fashion-rock.  All’inizio degli anni '90 l’uomo fa finalmente il suo ingresso trionfale nel fashion. La moda acquisisce nuovi tagli, nuovi colori, nuove forme e misure. Durante questi anni le mode si mescolano dando vita a fashion-mode inedite: dal grounge al pop, dal rock al rap, la moda vede comparire bleizers oversizes, jeans con strappi ricuciti e accessori in abbondanza.
Ma oggi? Cosa succede oggi? I ragazzi, le donne , gli uomini, che rapporto hanno con la moda? Il decoro e l’estetica sono giunti ad una vera e propria fiera della vanità. Le modelle camminano con grandi falcate sulle catwalks di Milano, Londra, Parigi and NYC, calzando Louboutins e Jimmy Choo. Insomma la moda sembra proprio essere giunta ai vertici, ma ogni anno ci stupisce sempre di più.  I grandi brands illuminano le Rinascenti e i bigshops di tutte le città: dalla Phantom di Cèline all basic Neverfull di Louis Vuitton, dalla 255 alla Jumbo, entrambe di Chanel. Ma la realtà è ben diversa: nei marciapiedi di oggi giorno è dove i buyers più spigliati provano a farsi notare. Nasce, infatti, il punk-chic e i fluo colours che colorano le T-shirts e le snikers, anche le big di Chanel. I ragazzi e le ragazze si fanno sempre più influenzare dagli outfit proposti dalla società di massa. Ma proprio qui nella massa e tra la folla ognuno di noi plasma il proprio io, ritagliandosi uno spazio nella società, facendo divenire ciò che indossiamo il riflesso della nostra interiorità. In conclusione sulla copertina di un libro d’amore non può che esserci il bacio di una coppia innamorata, così dietro un Valentino rosso, un paio di Louboutin e una pochette MiuMiu non può che esserci una donna elegante e raffinata. Ricordiamo l’insegnamento che ci diede CocoChanel una delle regine dello stile e facciamolo nostro: “La moda passa, lo stile resta!”