sabato 21 febbraio 2015



Fantasticheria di Giovanni Verga



Anna Riggi V C Liceo Classico


La novella Fantasticheria – pubblicata nel 1879 nel «Fanfulla della domenica»  e in seguito posta in apertura della raccolta Vita dei campi del 1880 – è un vero e proprio testo programmatico per il lavoro che Giovanni Verga stava compiendo sul testo de I Malavoglia, pubblicato nel 1881. Vi sono contenuti sia molti riconoscibili materiali narrativi poi sviluppati nel romanzo, sia alcune fondamentali indicazioni teoriche che bene rivelano i cardini della poetica dello scrittore, giunto al punto della propria maturità artistica.
Il titolo indica il divagare della fantasia dello scrittore sui ricordi del breve soggiorno ad Aci Trezza di una sua amica, una signora del gran mondo, e, per contrasto, sulle condizioni di vita della povera gente di quel piccolo villaggio di pescatori.
L’amica è il simbolo dei raffinati ambienti aristocratici e borghesi dei romanzi passionali scritti precedentemente dal Verga (come Una peccatrice, Eva, Tigre reale, ecc.); la povera gente di Aci Trezza è il simbolo del mondo degli umili, che il Verga ora pone al centro dei suoi interessi di scrittore, per farne l’oggetto di un romanzo che ha già in mente, I Malavoglia.    
I due mondi, quello aristocratico e borghese, lussuoso, ozioso e capriccioso, e quello dei poveri, con le sue pene e i suoi dolori, nella novella sono intenzionalmente contrapposti. Tutta la simpatia del Verga va al mondo dei poveri, perché sotto la crosta degli stenti e della miseria egli vi scopre valori positivi e insospettati, come l’attaccamento tenace alla famiglia, alla casa e al lavoro, la forza eroica della rassegnazione, gli affetti sani, semplici e puri; tutti valori scomparsi dal mondo aristocratico e borghese, scalzati dalla superbia, dall’egoismo, dall’ipocrisia e dalla corruzione.
La novella quindi è importante sia perché segna la scelta definitiva e consapevole da parte del Verga della nuova materia della sua arte  sia perché contiene già l’abbozzo della sua opera maggiore,  I Malavoglia, di cui schizza il profilo dei principali personaggi. 
Lo spazio, dunque - descritto qui sia come una porzione di costa pittoresca, secondo gli occhi dei due cittadini, sia come il formicaio dove si ostinano le minuscole esistenze degli abitanti, nei giorni di sole così come nelle “giornate nere” - è quello che, nel romanzo, fa da sfondo alle peripezie dei Malavoglia, i quali si scorgono nella galleria di figure organizzata dall’estensore di questa lettera di memorie di viaggio. C’è, nella novella, la casa con “il nespolo nel cortile”; c’è il “vecchietto che stava al timone della nostra barca” e che, come padron ‘Ntoni, avrebbe voluto concludere la propria esistenza tra le mura di casa, di fronte al proprio mare, e che invece “è morto laggiù all’ospedale della città, il povero diavolo”. La ragazza che “faceva capolino dietro i vasi di basilico”, piena di speranze per la propria vita modesta, finisce a piangere “lagrime amare”. Il suo fratello carcerato anticipa il personaggio di ’Ntoni, accomunato a Lia dalla sorte misera di escluso. “Miglior sorte toccò a quelli che morirono”, si legge in Fantasticheria, dove il Luca del romanzo è abbozzato nel soldato morto nella battaglia di Lissa, ed è infine già tratteggiato il naufragio, “in una fosca notte d’inverno” che strapperà Bastianazzo dal suo ruolo di sostegno per la famiglia.
Al di là di questa rassegna di personaggi, che - unita ai temi della miseria, delle malattie, della lotta per strappare il pane al mare - raccoglie i materiali narrativi sviluppati ne I Malavoglia,  Fantasticheria contiene alcune considerazioni di poetica fondamentali per comprendere il lavoro che Verga stava già compiendo sul proprio romanzo. Risulta evidente ed è tematizzata, la distanza tra la prospettiva dei due personaggi (quello della voce narrante e quello della donna a cui egli indirizza la lettera) di estrazione alto-borghese, da un lato, e il mondo di Aci Trezza, dall’altro. “Non capisco come si possa viver qui tutta la vita” è la battuta della donna, che snobisticamente rifiuta ogni esercizio di comprensione  e presto si stanca del soggiorno in riva al mare. La voce narrante - dietro la quale, come anticipato, si celano le considerazioni dell’autore reale - insiste sulla questione:
Eppure, vedete, la cosa è più facile che non sembri: basta non possedere centomila lire di entrata, prima di tutto; e in compenso patire un po’ di tutti gli stenti fra quegli scogli giganteschi, incastonati nell’azzurro, che vi facevano batter le mani per ammirazione. Così poco basta perché quei poveri diavoli [...] trovino fra quelle loro casipole sgangherate e pittoresche [...] tutto ciò che vi affannate a cercare a Parigi, a Nizza ed a Napoli.
Traspare, in questa spiegazione, qualche tratto del determinismo che caratterizza la poetica verista verghiana: l’uomo è determinato dall’ambiente in cui è inserito, nelle proprie azioni, nei propri valori, nelle proprie aspettative. Per questo, all’osservatore esterno e allo scrittore stesso non rimane che una via per cercare di “comprendere siffatta caparbietà”, di indagare i meccanismi, i rapporti, le tensioni, che regolano quell’ambiente sociale: bisogna farci piccini anche noi, chiudere tutto l’orizzonte fra due zolle  e guardare col microscopio le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori.
È così, in Fantasticheria, introdotto quello che la critica ha definito “artificio della regressione”, ossia la scelta di Verga di delegare, nel proprio romanzo, “la funzione narrativa ad un anonimo ‘narratore’ popolare, che appartiene allo stesso livello sociale e culturale dei personaggi che agiscono nella vicenda”. Un artificio, questo, coerente e funzionale all’impostazione positivistica della letteratura verista verghiana: l’autore ritiene che la realtà sia oggettiva, osservabile scientificamente (lo testimonia il riferimento al microscopio, nella citazione sopra riportata). Per poterlo fare occorre dunque, secondo lui, assumere la giusta disposizione e il giusto punto di vista. Non più quello della donna destinataria della lettera di Fantasticheria, ma quello dello scienziato scrittore disponibile a farsi “piccino”, con un repertorio formale proporzionato alla realtà oggetto della propria rappresentazione. Solo così, dichiara dunque programmaticamente il Verga novelliere, lo scrittore potrà, ne I Malavoglia, comprendere e indagare la storia della famiglia retta da padron ’Ntoni. E capirne le intime ragioni, come quella dell’"ideale dell’ostrica", ulteriore riferimento teorico tematizzato in Fantasticheria:
Proprio l’ideale dell’ostrica, e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo che quello di non esser nati ostriche anche noi. Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere mentre seminava principi di qua e duchesse di là, questa rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, questa religione della famiglia, che si riverbera sul mestiere, sulla casa, e sui sassi che la circondano, mi sembrano – forse pel quarto d’ora – cose serissime anch’esse.
Tale è dunque la “religione” che, nell’ideologia verghiana, indirizza e determina l’agire dei singoli e che, nel romanzo, decreta il naufragio della famiglia dei Malavoglia, staccatisi dal proprio posto e incapaci di nuotare in un mare diverso. È soprattutto ciò che accade al personaggio di ’Ntoni, il quale - fatta l’esperienza della vita in città - è roso da un’inquietudine che si potrebbe accostare, secondo un incrocio di richiami testuali, allo stesso dubbio della donna che apre la novella: “non capisco come si possa viver qui tutta la vita”. Ma, se per questa figura femminile una simile impressione è naturale e caratterizzante della propria condizione, per ’Ntoni sarà invece la spinta per il distacco dal proprio scoglio di Aci Trezza, con le conseguenze nefaste e lo smarrimento definitivo narrati ne I Malavoglia, secondo la rigida ideologia già teorizzata in Fantasticheria.

Nessun commento: