Fantasticheria di Giovanni Verga
Anna Riggi V C Liceo Classico
La novella Fantasticheria – pubblicata nel 1879 nel «Fanfulla della
domenica» e in seguito posta in apertura
della raccolta Vita dei campi del
1880 – è un vero e proprio testo programmatico per il lavoro che Giovanni Verga
stava compiendo sul testo de I Malavoglia,
pubblicato nel 1881. Vi sono contenuti sia molti riconoscibili materiali
narrativi poi sviluppati nel romanzo, sia alcune fondamentali indicazioni
teoriche che bene rivelano i cardini della poetica dello scrittore,
giunto al punto della propria maturità artistica.
Il titolo indica il divagare della fantasia dello scrittore sui ricordi del
breve soggiorno ad Aci Trezza di una sua amica, una signora del gran mondo, e,
per contrasto, sulle condizioni di vita della povera gente di quel piccolo
villaggio di pescatori.
L’amica è il simbolo dei raffinati ambienti aristocratici e borghesi dei
romanzi passionali scritti precedentemente dal Verga (come Una peccatrice, Eva, Tigre reale, ecc.); la povera gente di
Aci Trezza è il simbolo del mondo degli umili, che il Verga ora pone al centro
dei suoi interessi di scrittore, per farne l’oggetto di un romanzo che ha già
in mente, I Malavoglia.
I due mondi, quello aristocratico e borghese, lussuoso, ozioso e
capriccioso, e quello dei poveri, con le sue pene e i suoi dolori, nella
novella sono intenzionalmente contrapposti. Tutta la simpatia del Verga va al
mondo dei poveri, perché sotto la crosta degli stenti e della miseria egli vi
scopre valori positivi e insospettati, come l’attaccamento tenace alla famiglia,
alla casa e al lavoro, la forza eroica della rassegnazione, gli affetti sani,
semplici e puri; tutti valori scomparsi dal mondo aristocratico e borghese,
scalzati dalla superbia, dall’egoismo, dall’ipocrisia e dalla corruzione.
La novella quindi è importante sia perché segna la scelta definitiva e
consapevole da parte del Verga della nuova materia della sua arte sia perché contiene già l’abbozzo della sua
opera maggiore, I Malavoglia, di cui schizza il profilo dei principali
personaggi.
Lo spazio, dunque - descritto qui sia come una porzione di costa
pittoresca, secondo gli occhi dei due cittadini, sia come il formicaio dove si
ostinano le minuscole esistenze degli abitanti, nei giorni di sole così come
nelle “giornate nere” - è quello che, nel romanzo, fa da sfondo alle peripezie
dei Malavoglia, i quali si scorgono nella galleria di figure organizzata
dall’estensore di questa lettera di memorie di viaggio. C’è, nella novella, la
casa con “il nespolo nel cortile”; c’è il “vecchietto che stava al timone della
nostra barca” e che, come padron ‘Ntoni, avrebbe voluto concludere la propria
esistenza tra le mura di casa, di fronte al proprio mare, e che invece “è morto
laggiù all’ospedale della città, il povero diavolo”. La ragazza che “faceva
capolino dietro i vasi di basilico”, piena di speranze per la propria vita
modesta, finisce a piangere “lagrime amare”. Il suo fratello carcerato anticipa
il personaggio di ’Ntoni, accomunato a Lia dalla sorte misera di escluso.
“Miglior sorte toccò a quelli che morirono”, si legge in Fantasticheria,
dove il Luca del romanzo è abbozzato nel soldato morto nella battaglia di
Lissa, ed è infine già tratteggiato il naufragio,
“in una fosca notte d’inverno” che strapperà Bastianazzo dal suo ruolo di
sostegno per la famiglia.
Al di là di questa rassegna di personaggi, che - unita ai temi della
miseria, delle malattie, della lotta per strappare il pane al mare - raccoglie
i materiali narrativi sviluppati ne I Malavoglia, Fantasticheria contiene alcune
considerazioni di poetica fondamentali per comprendere il lavoro che Verga stava
già compiendo sul proprio romanzo. Risulta evidente ed è tematizzata, la
distanza tra la prospettiva dei due personaggi (quello della voce narrante e
quello della donna a cui egli indirizza la lettera) di estrazione
alto-borghese, da un lato, e il mondo di Aci Trezza, dall’altro. “Non capisco
come si possa viver qui tutta la vita” è la battuta della donna, che
snobisticamente rifiuta ogni esercizio di comprensione e presto si stanca del soggiorno in riva al
mare. La voce narrante - dietro la quale, come anticipato, si celano le
considerazioni dell’autore reale - insiste sulla questione:
Eppure, vedete, la cosa è più
facile che non sembri: basta non possedere centomila lire di entrata, prima di
tutto; e in compenso patire un po’ di tutti gli stenti fra quegli scogli
giganteschi, incastonati nell’azzurro, che vi facevano batter le mani per
ammirazione. Così poco basta perché quei poveri diavoli [...] trovino fra
quelle loro casipole sgangherate e pittoresche [...] tutto ciò che vi affannate
a cercare a Parigi, a Nizza ed a Napoli.
Traspare, in questa spiegazione, qualche tratto del determinismo che
caratterizza la poetica verista verghiana: l’uomo è determinato dall’ambiente
in cui è inserito, nelle proprie azioni, nei propri valori, nelle proprie
aspettative. Per questo, all’osservatore esterno e allo scrittore stesso non
rimane che una via per cercare di “comprendere siffatta caparbietà”, di
indagare i meccanismi, i rapporti, le tensioni, che regolano quell’ambiente
sociale: bisogna farci piccini anche noi,
chiudere tutto l’orizzonte fra due zolle e guardare col microscopio le piccole cause
che fanno battere i piccoli cuori.
È così, in Fantasticheria, introdotto quello che la critica ha
definito “artificio della regressione”, ossia la scelta di Verga di delegare,
nel proprio romanzo, “la funzione narrativa ad un anonimo ‘narratore’ popolare,
che appartiene allo stesso livello sociale e culturale dei personaggi che
agiscono nella vicenda”. Un artificio, questo, coerente e funzionale all’impostazione
positivistica
della letteratura verista verghiana: l’autore ritiene che la realtà sia
oggettiva, osservabile scientificamente (lo testimonia il riferimento al
microscopio, nella citazione sopra riportata). Per poterlo fare occorre dunque,
secondo lui, assumere la giusta disposizione e il giusto punto di vista. Non
più quello della donna destinataria della lettera di Fantasticheria, ma quello dello scienziato scrittore disponibile a
farsi “piccino”, con un repertorio formale proporzionato alla realtà oggetto
della propria rappresentazione. Solo così, dichiara dunque
programmaticamente il Verga novelliere, lo scrittore potrà, ne I Malavoglia, comprendere e
indagare la storia della famiglia retta da padron ’Ntoni. E capirne le intime
ragioni, come quella dell’"ideale dell’ostrica", ulteriore
riferimento teorico tematizzato in Fantasticheria:
Proprio l’ideale dell’ostrica, e
noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo che quello di non esser nati
ostriche anche noi. Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente
allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere mentre seminava
principi di qua e duchesse di là, questa rassegnazione coraggiosa ad una vita
di stenti, questa religione della famiglia, che si riverbera sul mestiere,
sulla casa, e sui sassi che la circondano, mi sembrano – forse pel quarto d’ora
– cose serissime anch’esse.
Tale è dunque la “religione” che, nell’ideologia verghiana, indirizza e
determina l’agire dei singoli e che, nel romanzo, decreta il naufragio della
famiglia dei Malavoglia, staccatisi dal proprio posto e incapaci di nuotare in
un mare diverso. È soprattutto ciò che accade al personaggio di ’Ntoni, il
quale - fatta l’esperienza della vita in città - è roso da un’inquietudine che
si potrebbe accostare, secondo un incrocio di richiami testuali, allo stesso
dubbio della donna che apre la novella: “non capisco come si possa viver qui
tutta la vita”. Ma, se per questa figura femminile una simile impressione è naturale
e caratterizzante della propria condizione, per ’Ntoni sarà invece la spinta
per il distacco dal proprio scoglio di Aci Trezza, con le conseguenze nefaste e
lo smarrimento definitivo narrati ne I
Malavoglia, secondo la rigida ideologia già teorizzata in Fantasticheria.
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