venerdì 23 gennaio 2015


Commento personale all'intervista ad

 Andrea Camilleri "il maestro senza regole”

Chiara Cavatoi V B Liceo Classico



Un maestro, in quanto insegnante di teatro e di vita, senza regole per l’obiettivo del suo insegnamento : imparare ad essere se stessi; così Andrea Camilleri viene descritto dai suoi stessi studenti.  Non indugia a comunicare i suoi pensieri, le sue riflessioni, anzi è molto diretto. Meticoloso e preciso, soprattutto nella scrittura, spesso si affatica ma afferma con fierezza di volersi  comportare come una trapezista, la quale “nonostante il grande sforzo, sorride e non dà mostra della stanchezza , altrimenti rovinerebbe il godimento di chi guarda”. Questo è uno dei tanti messaggi che lo scrittore vuole comunicare allo spettatore durante l’intervista svolta da Teresa Mannino, una frase che ha fatto riflettere, credo, ognuno di noi sul proprio ruolo ma anche sui gesti che compiamo ogni giorno, soprattutto quando sono rivolti al bene altrui. 
Mi ha colpita particolarmente l’approccio che utilizza come regista, concentrato maggiormente sui sentimenti e sulla verità, caratteri che il teatro, a mio avviso, dovrebbe trasmettere. Dall’intervista esce fuori una figura “imponente”,  ricca di valori e di insegnamenti; non bisogna trascurare la sua spiccata fantasia e la sua capacità narrativa derivategli dai numerosi esercizi svolti con la nonna: vagando tra i suoi ricordi ha descritto immagini limpidissime ed episodi ricchi di messaggi come se si stesse srotolando la pellicola di un film. Racconta ad esempio dei suoi giorni da liceale, durante il periodo fascista, in cui non spiccava per i voti in latino e greco, e la sua stima per un suo professore che, nonostante la presenza del regime,  insegnava il valore della libertà e l’accettazione della repressione dei propri diritti con vergogna.  Un altro episodio molto commovente è stato il suo ultimo discorso col padre, il quale gli ha fatto promettere di continuare a scrivere a suo modo cioè alternando dialetto ed italiano.  Camilleri non mi è apparso un uomo molto caloroso, ma sicuramente legato agli affetti : “ Non mi spaventa niente tranne la perdita degli affetti” dice infatti il maestro.

“La bolla di componenda”

di  Andrea Camilleri

“Travaggliari” è la prima parola del libro, la parola che presenta immediatamente la tematica squisitamente siciliana dell’opera. Infatti la storia della bella isola è intrisa di componende ovvero accordi, compromessi, patti segreti sia tra privati sia all’interno dello Stato sia tra malavitosi e  all’interno della Chiesa. Così Camilleri decide di condividere la sua indagine attraverso brevi storie inventate, autobiografiche o realmente accadute, alla ricerca dell’origine di questa consuetudine ovvero la Bolla di componenda: probabilmente il documento in cui veniva siglata tra la Chiesa e i malfattori l’assoluzione dei loro misfatti in cambio di un versamento in denaro variabile secondo il reato commesso. Dalla componenda religiosa a quella laica il passo è stato poi breve.  L’ indagine si tradurrà in una “bolla di sapone”.
“La bolla di componenda” è un saggio storico nel quale i fatti narrati avvengono nel periodo immediatamente successivo all’unità d’Italia, in una Sicilia ancora poco stabile economicamente e culturalmente, che non ricorda bene quale sia la sua storia e neanche quale sia il progresso che la può condurre alla vera autonomia ed emancipazione. Il racconto non scorre rapidamente, vi sono  numerosi flashback e prolessi, funzionali alla spiegazione della componenda, e sono esigui i momenti di azioni a favore invece di digressioni e spiegazioni. Nonostante ciò l’autore non rinuncia all’ironia, ai momenti in cui concede spazio al sorriso: quando si corregge rimproverandosi di divagare o quando inserisce alcuni dialoghi per permettere al lettore di partecipare alla scena (da buon sceneggiatore qual è Camilleri). Lo stile che utilizza non è semplice, anzi talvolta adopera un linguaggio tecnico, e trattandosi di un siciliano che discorre della Sicilia, adopera spesso termini dialettali, che però ritengo perfettamente inseriti nel contesto e davvero più esplicativi rispetto ad altri (probabilmente io siciliana sono di parte).
Devo ammettere che l’approccio al libro non è stato semplice, la prima impressione che ho avuto è stata negativa: le prime pagine appaiono come una sorta di elenco di fatti, di date e anche di concetti, senza un’anima o una vera partecipazione. Rimanevo totalmente distaccata dal racconto  ed è per questo che l’ho abbandonato per qualche giorno. Ciò che non avevo compreso era la funzione di quell’enumerazione, fondamentale per comprendere meglio il cuore delle pagine successive. Io da siciliana ho pienamente gustato la descrizione di una terra ricca di bellezze e valori unici al mondo, ma anche carica di imperfezioni. Quelle prime pagine da me tanto “odiate” erano la chiave di lettura della componenda, che sta alla base della mafia, della criminalità e delle ingiustizie: << con la componenda la POLIZIA sistemava le cose, formava una giustizia al di fuori delle leggi ufficiali, che sta alla base oggi della GIUSTIZIA MAFIOSA>>.  La presenza della Chiesa all’interno di questi scandali non mi ha stupita. Piuttosto mi ha colpita, ancora una volta, l’omertà della popolazione, che nega, che copre e che quindi involontariamente diffonde e per difendersi si distrugge. Camilleri non parla apertamente di mafia, ne accenna con i riferimenti alla componenda, ma io ho colto come una denuncia sottile che rivolge sia ad essa sia ai suoi compaesani. A questo proposito voglio citare quanto afferma il generale Casanova sui Siciliani:
- tutti i sacerdoti girano armati di rivoltella,
- levare il porto d’armi finirebbe col disarmare gli onesti,
- negare il cibo ai briganti può significare l’incendio di una fattoria,
- il rivelare un nascondiglio può essere causa di una pugnalata.
Il racconto è ambientato nella seconda metà dell’ottocento ma, a parer mio, quanto si narra si potrebbe rintracciare in una qualunque società che vive nella paura costante della mafia. L’autore ricorda anche un episodio vissuto in prima persona: da giovane, nel 1947, viaggiando con un amico del padre, per “assicurarsi” un viaggio sereno dovettero condividere con dei briganti parte di ciò che trasportavano. Questo non fu un avvenimento isolato, anzi era la normalità! Ed io leggendo ciò mi chiedo: quante volte alla televisione abbiamo sentito parlare di pizzo? Quante volte un uomo ne ha ricattato un altro per farsi fare un favore? Quante volte, pur di  trovare un lavoro, sono stati fatti dei patti con chi poteva procurarlo? Da ciò capiamo quanto la componenda incida sulle nostre vite, proprio perché la popolazione è cresciuta con questa mentalità, e la Sicilia è stata la culla di quella che poi è diventata la mentalità mafiosa. Camilleri scrive che, a quel tempo, alla domanda “ esiste in Sicilia una forma di associazione distinta con il nome di mafia?” o “ si è mai creduto che la mafia o la camorra siano penetrate nei pubblici uffizi?”. La risposta unanime era “no”.
Lo sviluppo della vicenda durante la lettura diventa molto interessante. Per riuscire a trovare questa famosa bolla di componenda la storia infatti si trasforma quasi in un giallo, che mi ha fatto divorare voracemente le pagine restanti riscattando e rivalutando l’inizio piuttosto lento e per me noioso. E ricerca dopo ricerca, testimonianza dopo testimonianza la storia mi ha catturata fino alla fine, alla “soluzione del libro”, che ha un esito sorprendente.
Ho percepito una sorta di amarezza che condivido pienamente, la voglia di cambiare la realtà ma anche la cruda presenza di mille ostacoli e di una società che probabilmente non è pronta. Penso che questo sia un libro adatto anche a chi è amante del giallo e soprattutto a chi ha voglia di approfondire, di porsi la domanda “ a me è mai successo?”. Un libro rivolto agli italiani per scoprire una realtà al di fuori della propria quotidianità, ma soprattutto ai siciliani affinché si sentano partecipi e, volendo, pure un po’ in colpa; affinché critichino quanto scritto da Camilleri giudicandosi completamenti diversi e cambiati oppure riconoscano di essere coinvolti. “La bolla di componenda” è un libro che, per  me, si è riscattato e consiglio di leggerlo, perché è ricco di spunti per pensare, riflettere e saperne di più.  E non sono forse questi alcuni degli obiettivi della lettura?

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