Commento personale all’intervista ad
Andrea Camilleri “il maestro senza regole
Giampaolo Petrungaro V B Liceo Classico
Quella mattina
ero stanco morto sia perché la notte precedente mi ero coricato tardi sia
perché sapevo che dovevo seguire l’intervista di un cretino che amava scrivere
libri sulla propria terra. Con il morale sotto zero sono andato in aula magna
con i miei compagni e con il cellulare in tasca, pronto a giocare di nascosto
alla professoressa perché davo per scontato che l’intervista sarebbe stata una
vera e propria noia. Inizialmente, mentre ero seduto davanti allo schermo,
pensavo di addormentarmi ma, invece di addormentarmi, man mano che l’intervista
andava avanti mi incuriosivo dimenticando incredibilmente quella mattina il
cellulare in tasca come se lo avessi scordato a casa. Non riuscivo a spostare
lo sguardo da nessun altra parte se non verso quello schermo. Mi sentii
profondamente colpito, partecipe, come se il maestro, anche se lui odia farsi
chiamare così, stesse parlando in prima persona con me. Non era un maestro ma
il Maestro dei maestri, un saggio, di cultura
profonda e molto legato alla mia terra, la Sicilia. Mi ha colpito
soprattutto come vantava i piatti della
cucina siciliana, come diceva di amare il rumore delle onde del mare più di
ogni altra cosa, la vita di paese e tante altre cose. Scrive per passione e non
per lavoro. Ecco perché lo considero un Vetus.
Straordinario anche perché mette in secondo piano l’attore concentrandosi sulla
persona, desumendo dai dialoghi l’aspetto fisico dei personaggi. Mi ha stupito
il fatto che era profondamente legato alla nonna Elvira, proprio come me, e che
fu cugino del grande Pirandello. Ma la cosa più straordinaria è che si è
presentato in quell’intervista come
simbolo della libertà, un po’ come Catone. Era contrario alla camicia nera dei
fascisti, anche perché influenzato dall’educazione del suo professore. Lo
considero il capo ideale del governo di
cui avremmo bisogno oggi per la sua correttezza, intelligenza ed onestà. Ma,
oltre ad essere un saggio, è stato anche
un ragazzo come me e che ragazzo!
Era il classico don Giovanni, un po’ come lo ero io. Racconta che il suo
passatempo preferito era incontrarsi a casa di Giuseppuzzo con Ciccio e una sua
amica di Venezia conosciuta in un bar e che una volta Ciccio ubriaco non riusciva a dormire perché stava
scomodo poiché era sdraiato su un materasso senza accorgersi che non era
disteso. Tutto quello che scrive è frutto della sua esperienza. Mi ha colpito molto quando ha detto:” Non sono stato un buon padre ma un
ottimo nonno”. Ecco che subito ho pensato : “Ma se non lo è stato un grande
uomo come lui, come posso esserlo io?”
Mi ha fatto tenerezza il racconto della morte del padre ed il fatto che
gli ha dedicato il romanzo “Il corso delle cose” scritto
proprio su suo consiglio esattamente come glielo aveva raccontato prima
che morisse facendo uso dell’italiano e del dialetto. Gli insegnamenti che mi
ha trasmesso sono tantissimi come quello dell’amore e lo dimostrano i suoi
sessanta anni di matrimonio. “Un
rapporto d’amore è come un filo che si arrotola nel corso degli anni ma bisogna
essere sempre bravi a snodarlo senza romperlo”. Viene definito maestro senza
regole proprio perché le regole aboliscono la libertà di cui lui è sempre stato il portabandiera. La frase più
bella dell’intervista è stata “Non ti puoi rifiutare di morire, è compreso nel
prezzo del biglietto”. Non è attaccato a nessuna cosa materiale se non agli
affetti. Sono tornato a casa dopo aver
imparato una grandissima lezione: la Sicilia è una regione unica, non
distruggiamola come stiamo facendo con l’inquinamento o sfruttandola ma cerchiamo di preservarla e
curarla godendo di tutti i beni che essa ci offre. Ma soprattutto ho imparato
che in ogni circostanza è inutile indossare
una maschera, bisogna essere sempre se stessi.
“Un covo di vipere”
di Andrea Camilleri
"Un covo di vipere" di Andrea Camilleri, il
ventunesimo libro sul commissario Montalbano, pubblicato lo scorso anno, è
stato in realtà scritto nel 2008, come riporta Camilleri nella nota finale del
testo. Essendo troppo vicino alla pubblicazione de "La luna di carta"
del 2004, la casa editrice Sellerio ha preferito tenerlo congelato nei suoi
archivi.
Dalla lettura, particolarmente agevole perché la storia raccontata
è interessante e coinvolgente, ho potuto capire che sicuramente "Un covo
di vipere" è uno dei romanzi in cui Camilleri dà il meglio di sé. La
storia affrontata è scabrosa e a tratti indecorosa, ma l'autore sa trattarla
con estrema delicatezza e trasfigurarla in una sorta di tragedia greca.
L'omicidio del ragioniere Cosimo Barletta apre scenari oscuri ed inquietanti.
La vittima si è
forse meritata quella fine orrenda: usuraio, senza scrupoli e donnaiolo della
peggior specie. Un personaggio che aveva molti nemici e ognuno di questi ha
beneficiato della sua morte: dalle diverse donne costrette a rapporti sessuali
durante i quali venivano persino fotografate a loro insaputa, fino ai padri di
famiglia rovinati da prestiti di denaro a interessi insostenibili. Il caso
sembra quindi facile ma in realtà è complicato e il commissario Montalbano
dovrà infilare la mano nel "covo di serpi" di legami famigliari
profondi per riuscire a sbrogliare una matassa ingarbugliata. Capire cioè il
rapporto che legava la vittima ai suoi parenti, consanguinei o acquisiti che
fossero. E quando infili la mano in un nido di serpenti, difficilmente la
potrai ritrarre senza passare dai morsi e dal veleno. Montalbano, insieme al
suo staff investigativo, Augello e Fazio, procede per indizi e deduzioni,
scavando nella vita pubblica e privata di Barletta. Il movente dell'omicidio
assume sempre più sfaccettature complesse, non solo di vendetta, di interesse,
ma di qualcosa di sotterraneo, indecifrabile e indicibile, che prende forma e
si avvicina a quella verità inconfessabile che gli dà le vertigini. E
Montalbano forte anche della sua educazione sentimentale, nutrita da letture e
storie cinematografiche, mostra comprensione, quasi compassione, non dà giudizi
e agisce come meglio crede, chiudendo il tragico caso con compassionevole
dolore. L'intento è quello di custodire la dignità umana quando è offesa oltre
le intenzioni. Sta per spuntare l'alba a Marinella. Montalbano, ancora
abbracciato da Morfeo, si sveglia all'improvviso al canto dell'usignolo. Ma
quando si desta completamente, capisce che quello non è un canto d'uccello:
all'intero della sua veranda trova un clochard che saluta il giorno nuovo
fischiettando. Il vagabondo, preso alla sprovvista dal temporale della notte,
ha pensato bene di rifugiarsi nella veranda del commissario, certamente più
riparata rispetto alla grotta nella quale vive. Incuriosito dal soggetto,
Montalbano comincia a parlare con lui: i suoi modi gentili e il suo italiano
perfetto tradiscono l'apparenza da straccione. Il clochard dice di abitare poco
distante da lì, all'interno di una grotta, ma quando il discorso comincia ad
entrare nel vivo, Montalbano viene richiamato urgentemente al commissariato. Giunto
in sede, Catarella gli comunica dell'omicidio del ragionier Cosimo Barletta,
avvenuta all'interno della sua villetta vicino al mare. Nell'abitazione della
vittima - colpita alla nuca da una pistolettata mentre era seduta in cucina a
prendere il caffè - non sembrano esserci segni di effrazione né di lotta,
quindi si presume che chi ha assassinato il ragioniere sia un conoscente o
addirittura un parente. Vengono così chiamati ed interrogati anche i figli del
Barletta, Arturo e Giovanna, entrambi sposati e che non vivono più nella casa
paterna. Parlano con toni poco edificanti del padre, un uomo dal carattere
ostile, dedito ad affari immobiliari loschi, forse all'usura. E poi c'è il
testamento, quel prezioso documento che proprio i figli non riescono a trovare
e che il ragioniere intendeva rivedere. Montalbano capisce così che dietro la
facciata di una persona rispettabile - vedovo, benestante, con la casa in paese
ed una al mare - si cela ben altro. E quando trova foto equivoche e lettere
nascoste nel doppio fondo della scrivania del Barletta che svelano una passione
malata, allora il caso si infittisce ancora di più. Ma sarà l'autopsia a
mettere a nudo un particolare ancora più inquietante, che farà cambiare bruscamente
rotta alle indagini. Intanto Livia arriva a Vigàta mentre Montalbano è nel
pieno delle indagini e le dedica poco tempo. Così lei conosce il clochard,
Mario, e incuriosita vuole carpirne i segreti. Ma il commissario si trova ad un
punto cruciale del caso e la soluzione è assolutamente tremenda...
Come sempre
Camilleri non mi delude mai. Montalbano indaga su un uomo trovato morto, ucciso
nella sua villetta. Durante 1' indagine emerge una realtà torbida e strana e
non sarà facile trovare il vero colpevole. “Un covo di vipere” è un bel libro
che scivola nella lettura e che porta al finale, forse un pochino già scontato.
In questo romanzo emerge un po' di più
la figura di Livia, la fidanzata di Montalbano. Quello che sorprende in questo
romanzo è come Camilleri riesca ad equilibrare scomode verità, presagi nefasti
e momenti divertenti (le sue farfantarie e nei confronti di Livia e nei
confronti del questore...) e di esaltazione delle bellezza ( il quadro di
Rousseau il Doganiere, inserito in un sogno/Sogno di Yadwigha...). Un libro
comunque che ho letto con piacere e che mi convince sempre più a seguire questa
collana editoriale che sicuramente evidenzia una formidabile formazione
culturale dell'autore compresa la sua vocazione teatrale e per i dialoghi e per
le inquadrature delle scene. Camilleri con le sue storie riesce sempre a creare
un momento di magia stabilendo un rapporto forte con il lettore.. Personalmente
credo che la grandezza di Camilleri risieda in queste quattro caratteristiche
che si manifestano in tutte le sue opere: la leggibilità dei testi in cui
spicca una straordinaria capacità di far dialogare i personaggi; l'ironia che
permette di sdrammatizzare e di trasformare la tragedia in farsa, senza
rinunciare a riflettere e a far riflettere; un linguaggio che esalta la
sicilianità e propone situazioni di rilevante comicità e soprattutto, almeno
dal mio punto di vista, un certo ottimismo delle storie che presentano comunque
una Sicilia in movimento capace di reagire alle ingiustizie e alle prepotenze.
Leggere Camilleri, a mio parere, non è semplicemente leggere un
"giallo" come tanti, ma è addentrarsi in un mondo unico fatto di
colori, sensazioni, profumi, piaceri e dispiaceri propri della vita quotidiana.
“I racconti di Nenè”
di Andrea Camilleri
Questo
libro contiene i racconti raccolti da Francesco Anzalone e Giorgio Santelli,
narrati da Andrea Camilleri nel programma televisivo “I cunti ‘i Nenè”, andato
in onda su Raisat Extra nel 2006. Non ci sono protagonisti, ma il vero
protagonista è lo stesso Andrea Camilleri, i fatti della sua vita e quanto gli
è accaduto in particolari momenti e chi legge riesce a ricostruire la sua vita,
le sue passioni, le sue amicizie, la sua carriera. Ne ‘I racconti di Nenè’ si
trovano personaggi che hanno fatto la storia d’Italia, dal Duce a Pirandello,
passando per Orazio Costa, Silvio d’Amico, Leonardo Sciascia ed altri grandi
della letteratura e delle arti del Novecento italiano con i quali Camilleri è
venuto a contatto. 153 pagine che ci fanno vedere un Camilleri diverso; un libro che scava nella sua vita e nelle sue
scelte. Un Camilleri diverso dal commissario Montalbano.
Nessun commento:
Posta un commento