domenica 25 gennaio 2015



Commento personale all’intervista ad 

Andrea Camilleri “il maestro senza regole


Giampaolo Petrungaro V B Liceo Classico


Quella mattina ero stanco morto sia perché la notte precedente mi ero coricato tardi sia perché sapevo che dovevo seguire l’intervista di un cretino che amava scrivere libri sulla propria terra. Con il morale sotto zero sono andato in aula magna con i miei compagni e con il cellulare in tasca, pronto a giocare di nascosto alla professoressa perché davo per scontato che l’intervista sarebbe stata una vera e propria noia. Inizialmente, mentre ero seduto davanti allo schermo, pensavo di addormentarmi ma, invece di addormentarmi, man mano che l’intervista andava avanti mi incuriosivo dimenticando incredibilmente quella mattina il cellulare in tasca come se lo avessi scordato a casa. Non riuscivo a spostare lo sguardo da nessun altra parte se non verso quello schermo. Mi sentii profondamente colpito, partecipe, come se il maestro, anche se lui odia farsi chiamare così, stesse parlando in prima persona con me. Non era un maestro ma il Maestro dei maestri, un saggio, di cultura  profonda e molto legato alla mia terra, la Sicilia. Mi ha colpito soprattutto  come vantava i piatti della cucina siciliana, come diceva di amare il rumore delle onde del mare più di ogni altra cosa, la vita di paese e tante altre cose. Scrive per passione e non per lavoro. Ecco perché lo considero un Vetus. Straordinario anche perché mette in secondo piano l’attore concentrandosi sulla persona, desumendo dai dialoghi l’aspetto fisico dei personaggi. Mi ha stupito il fatto che era profondamente legato alla nonna Elvira, proprio come me, e che fu cugino del grande Pirandello. Ma la cosa più straordinaria è che si è presentato in quell’intervista  come simbolo della libertà, un po’ come Catone. Era contrario alla camicia nera dei fascisti, anche perché influenzato dall’educazione del suo professore. Lo considero il capo ideale del governo  di cui avremmo bisogno oggi per la sua correttezza, intelligenza ed onestà. Ma, oltre ad essere un saggio, è stato anche  un ragazzo come me e che ragazzo!  Era il classico don Giovanni, un po’ come lo ero io. Racconta che il suo passatempo preferito era incontrarsi a casa di Giuseppuzzo con Ciccio e una sua amica di Venezia conosciuta in un bar e che una volta Ciccio  ubriaco non riusciva a dormire perché stava scomodo poiché era sdraiato su un materasso senza accorgersi che non era disteso. Tutto quello che scrive è frutto della sua esperienza. Mi ha colpito  molto quando ha  detto:” Non sono stato un buon padre ma un ottimo nonno”. Ecco che subito ho pensato : “Ma se non lo è stato un grande uomo come lui, come posso esserlo io?”  Mi ha fatto tenerezza il racconto della morte del padre ed il fatto che gli ha dedicato il romanzo “Il corso delle cose”  scritto  proprio su suo consiglio esattamente come glielo aveva raccontato prima che morisse facendo uso dell’italiano e del dialetto. Gli insegnamenti che mi ha trasmesso sono tantissimi come quello dell’amore e lo dimostrano i suoi sessanta anni di matrimonio.  “Un rapporto d’amore è come un filo che si arrotola nel corso degli anni ma bisogna essere sempre bravi a snodarlo senza romperlo”. Viene definito maestro senza regole proprio perché le regole aboliscono la libertà di cui lui  è sempre stato il portabandiera. La frase più bella dell’intervista è stata “Non ti puoi rifiutare di morire, è compreso nel prezzo del biglietto”. Non è attaccato a nessuna cosa materiale se non agli affetti.  Sono tornato a casa dopo aver imparato una grandissima lezione: la Sicilia è una regione unica, non distruggiamola come stiamo facendo con l’inquinamento o  sfruttandola ma cerchiamo di preservarla e curarla godendo di tutti i beni che essa ci offre. Ma soprattutto ho imparato che in ogni circostanza è inutile indossare  una maschera, bisogna essere sempre se stessi.


“Un covo di vipere” 

di Andrea Camilleri



"Un covo di vipere" di Andrea Camilleri, il ventunesimo libro sul commissario Montalbano, pubblicato lo scorso anno, è stato in realtà scritto nel 2008, come riporta Camilleri nella nota finale del testo. Essendo troppo vicino alla pubblicazione de "La luna di carta" del 2004, la casa editrice Sellerio ha preferito tenerlo congelato nei suoi archivi.
Dalla lettura, particolarmente agevole perché la storia raccontata è interessante e coinvolgente, ho potuto capire che sicuramente "Un covo di vipere" è uno dei romanzi in cui Camilleri dà il meglio di sé. La storia affrontata è scabrosa e a tratti indecorosa, ma l'autore sa trattarla con estrema delicatezza e trasfigurarla in una sorta di tragedia greca. L'omicidio del ragioniere Cosimo Barletta apre scenari oscuri ed inquietanti.
La vittima si è forse meritata quella fine orrenda: usuraio, senza scrupoli e donnaiolo della peggior specie. Un personaggio che aveva molti nemici e ognuno di questi ha beneficiato della sua morte: dalle diverse donne costrette a rapporti sessuali durante i quali venivano persino fotografate a loro insaputa, fino ai padri di famiglia rovinati da prestiti di denaro a interessi insostenibili. Il caso sembra quindi facile ma in realtà è complicato e il commissario Montalbano dovrà infilare la mano nel "covo di serpi" di legami famigliari profondi per riuscire a sbrogliare una matassa ingarbugliata. Capire cioè il rapporto che legava la vittima ai suoi parenti, consanguinei o acquisiti che fossero. E quando infili la mano in un nido di serpenti, difficilmente la potrai ritrarre senza passare dai morsi e dal veleno. Montalbano, insieme al suo staff investigativo, Augello e Fazio, procede per indizi e deduzioni, scavando nella vita pubblica e privata di Barletta. Il movente dell'omicidio assume sempre più sfaccettature complesse, non solo di vendetta, di interesse, ma di qualcosa di sotterraneo, indecifrabile e indicibile, che prende forma e si avvicina a quella verità inconfessabile che gli dà le vertigini. E Montalbano forte anche della sua educazione sentimentale, nutrita da letture e storie cinematografiche, mostra comprensione, quasi compassione, non dà giudizi e agisce come meglio crede, chiudendo il tragico caso con compassionevole dolore. L'intento è quello di custodire la dignità umana quando è offesa oltre le intenzioni. Sta per spuntare l'alba a Marinella. Montalbano, ancora abbracciato da Morfeo, si sveglia all'improvviso al canto dell'usignolo. Ma quando si desta completamente, capisce che quello non è un canto d'uccello: all'intero della sua veranda trova un clochard che saluta il giorno nuovo fischiettando. Il vagabondo, preso alla sprovvista dal temporale della notte, ha pensato bene di rifugiarsi nella veranda del commissario, certamente più riparata rispetto alla grotta nella quale vive. Incuriosito dal soggetto, Montalbano comincia a parlare con lui: i suoi modi gentili e il suo italiano perfetto tradiscono l'apparenza da straccione. Il clochard dice di abitare poco distante da lì, all'interno di una grotta, ma quando il discorso comincia ad entrare nel vivo, Montalbano viene richiamato urgentemente al commissariato.  Giunto in sede, Catarella gli comunica dell'omicidio del ragionier Cosimo Barletta, avvenuta all'interno della sua villetta vicino al mare. Nell'abitazione della vittima - colpita alla nuca da una pistolettata mentre era seduta in cucina a prendere il caffè - non sembrano esserci segni di effrazione né di lotta, quindi si presume che chi ha assassinato il ragioniere sia un conoscente o addirittura un parente. Vengono così chiamati ed interrogati anche i figli del Barletta, Arturo e Giovanna, entrambi sposati e che non vivono più nella casa paterna. Parlano con toni poco edificanti del padre, un uomo dal carattere ostile, dedito ad affari immobiliari loschi, forse all'usura. E poi c'è il testamento, quel prezioso documento che proprio i figli non riescono a trovare e che il ragioniere intendeva rivedere. Montalbano capisce così che dietro la facciata di una persona rispettabile - vedovo, benestante, con la casa in paese ed una al mare - si cela ben altro. E quando trova foto equivoche e lettere nascoste nel doppio fondo della scrivania del Barletta che svelano una passione malata, allora il caso si infittisce ancora di più. Ma sarà l'autopsia a mettere a nudo un particolare ancora più inquietante, che farà cambiare bruscamente rotta alle indagini. Intanto Livia arriva a Vigàta mentre Montalbano è nel pieno delle indagini e le dedica poco tempo. Così lei conosce il clochard, Mario, e incuriosita vuole carpirne i segreti. Ma il commissario si trova ad un punto cruciale del caso e la soluzione è assolutamente tremenda...
Come sempre Camilleri non mi delude mai. Montalbano indaga su un uomo trovato morto, ucciso nella sua villetta. Durante 1' indagine emerge una realtà torbida e strana e non sarà facile trovare il vero colpevole. “Un covo di vipere” è un bel libro che scivola nella lettura e che porta al finale, forse un pochino già scontato. In questo  romanzo emerge un po' di più la figura di Livia, la fidanzata di Montalbano. Quello che sorprende in questo romanzo è come Camilleri riesca ad equilibrare scomode verità, presagi nefasti e momenti divertenti (le sue farfantarie e nei confronti di Livia e nei confronti del questore...) e di esaltazione delle bellezza ( il quadro di Rousseau il Doganiere, inserito in un sogno/Sogno di Yadwigha...). Un libro comunque che ho letto con piacere e che mi convince sempre più a seguire questa collana editoriale che sicuramente evidenzia una formidabile formazione culturale dell'autore compresa la sua vocazione teatrale e per i dialoghi e per le inquadrature delle scene. Camilleri con le sue storie riesce sempre a creare un momento di magia stabilendo un rapporto forte con il lettore.. Personalmente credo che la grandezza di Camilleri risieda in queste quattro caratteristiche che si manifestano in tutte le sue opere: la leggibilità dei testi in cui spicca una straordinaria capacità di far dialogare i personaggi; l'ironia che permette di sdrammatizzare e di trasformare la tragedia in farsa, senza rinunciare a riflettere e a far riflettere; un linguaggio che esalta la sicilianità e propone situazioni di rilevante comicità e soprattutto, almeno dal mio punto di vista, un certo ottimismo delle storie che presentano comunque una Sicilia in movimento capace di reagire alle ingiustizie e alle prepotenze. Leggere Camilleri, a mio parere, non è semplicemente leggere un "giallo" come tanti, ma è addentrarsi in un mondo unico fatto di colori, sensazioni, profumi, piaceri e dispiaceri propri della vita quotidiana.


“I racconti di Nenè” 

di  Andrea Camilleri



Questo libro contiene i racconti raccolti da Francesco Anzalone e Giorgio Santelli, narrati da Andrea Camilleri nel programma televisivo “I cunti ‘i Nenè”, andato in onda su Raisat Extra nel 2006. Non ci sono protagonisti, ma il vero protagonista è lo stesso Andrea Camilleri, i fatti della sua vita e quanto gli è accaduto in particolari momenti e chi legge riesce a ricostruire la sua vita, le sue passioni, le sue amicizie, la sua carriera. Ne ‘I racconti di Nenè’ si trovano personaggi che hanno fatto la storia d’Italia, dal Duce a Pirandello, passando per Orazio Costa, Silvio d’Amico, Leonardo Sciascia ed altri grandi della letteratura e delle arti del Novecento italiano con i quali Camilleri è venuto a contatto. 153 pagine che ci fanno vedere un Camilleri diverso;  un libro che scava nella sua vita e nelle sue scelte. Un Camilleri diverso dal commissario Montalbano. 

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